27 lug 2008
CON IL SANGUE AGLI OCCHI
Dalla Bibbia per riflettere
PARLARE DOPO 25 ANNI: CORAGGIO O PURA FOLLIA?
Comunque la teste tra ricordi nebulosi, date completamente errate, persone incolpate, detenute o morte in quel periodo, ancora la riteniamo attendibile?????? Una donna con i suoi trascorsi da ex cocainomane? Una donna che sta ancora in comunità per disintossicarsi??? Qui gatta ci cova....e non è farina del suo sacco, è stata imbeccata e strumentalizzata.
8 lug 2008
Si difende D.M.
Poche ore dopo, davanti al procuratore aggiunto Italo Ormanni, ai pm Andrea De Gasperis e Simona Maisto e al capo della Mobile, Vittorio Rizzi, il marito della donna, V.S., ha ripetuto le stesse cose. E anche alla domestica dell’epoca, «Teresina», quella che secondo la testiomonianza di Sabrina Minardi si sarebbe presa cura di Emanuela durante prigionia, è toccato rispondere alle domande degli inquirenti. «Andavo in quell’appartamento solo una volta a settimana. Non so guidare», ha detto.
L’ex donna di Enrico De Pedis ha descritto la casa di D.M, sulla Gianicolense, la prigione di Emanuela, «comprata tra l’82 e l83. Non troppo grande, due o tre stanze da letto», precisando che da lì parte un sotterraneo lunghissimo che arriva quasi fino all’ospedale San Camillo. La casa c’è, il sotterraneo pure, gli uomini della Squadra Mobile lo hanno già individuato. Hanno fatto un sopralluogo, verificando che in quei cunicoli è stato anche costruito un bagno e che a pochi mesi dal sequestro i consumi di elettricità erano aumentati. Ma il riscontro non è significativo.
«Della ragazza si occupava Teresina, la domestica», ha detto la Minardi, sostenendo anche che fosse stata quella signora ad accompagnare Emanuela al Gianicolo e a consegnargliela, quando De Pedis le aveva chiesto di portarla alla pompa di benzina vicino al Vaticano dove c’era un prete ad attenderla.
Ma D.M., ex donna di Danilo Abbruciati, un altro “Testaccino” come De Pedis, ucciso a Milano nel 1982 durante il fallito attentato all’allora vicepresidente del Banco Ambrosiano, in questura non ha mancato una risposta. E alla fine i tre testimoni hanno smentito le dichiarazioni della Minardi definite dall’avvocato Angela Porcelli «infondate, insussistenti e diffamatorie». D.M. ha aggiunto che all’epoca nell’83, all’epoca del sequestro, non aveva una domestica fissa, ma una persona che lavorava a ore e si occupava delle faccende di casa. La signora delle pulizie non aveva neppure la patente: non avrebbe potuto portare Emanuela fino al Gianicolo in auto, come riferisce la Minardi. La domestica ha confermato poco dopo.
Ma la procura va avanti. Adesso potrebbe toccare ad altri ex della Magliana rispondere alle domande dei pm. Personaggi tirati in ballo dalla Minardi, dai quali però i magistrati non sperano di ottenere conferme.
Intanto altre contraddizioni emergono nel racconto della supertestimone. Secondo la Minardi, quel cunicolo sulla Gianicolense sarebbe stato ristrutturato e ripulito da Abbruciati, che una volta le avrebbe anche detto: «Mamma mia, qui portiamo i sequestrati». Non solo. La Minardi riferisce che proprio Abbruciati un giorno le avrebbe detto quanto fosse importante portare una spesa buona nella casa di D., «perché c'era una ragazzina che doveva mangiare». Ma all’epoca del sequestro Orlandi il “Testaccino” era già morto, freddato da una guardia giurata durante una “trasferta”.
E c’è un’altra donna che sarebbe stata a conoscenza dei fatti. L'ex amante di Renatino racconta di avere conosciuto D.M nell’81, attraverso una parente dell'ex marito, Bruno Giordano. Con quella parente acquisita si sarebbe confidata rivelandole di avere accompagnato Emanuela Orlandi al distributore di benzina del Vaticano. E lei le avrebbe risposto di sapere che la ragazzina veniva «ospitata» in casa di D. Adesso anche questa signora potrebbe essere convocata dagli inquirenti. E anche in questo caso i pm sono certi di una smentita.
di VALENTINA ERRANTE
La sorella di Emanuela Orlandi dopo le dichiarazioni della super testimone
La sorella di Emanuela Orlandi dopo le dichiarazioni della supertestimone
"L'importante è continuare a cercare la verità, il dubbio è la cosa peggiore"
"Credo a Sabrina Minardi
ma poteva parlare prima"
"Mio padre era convinto che mia sorella fosse vittima di un gioco più grande di noi"
di DANIELE MASTROGIACOMO
Emanuela Orlandi
all'epoca della scomparsa
Signora Orlandi, lei si chiede perché la Minardi ha parlato solo ora. Non ha provato a darsi una risposta?
"Paura. Soldi. Ho sentito dire che ha difficoltà economiche".
Ma è la prima testimone che collega il sequestro di Emanuela alla Banda della Magliana.
"Lo aveva fatto qualcuno molto prima di lei. Il giorno stesso della scomparsa".
Chi?
"Un poliziotto. Due ore dopo la scomparsa eravamo già al primo distretto di polizia per la denuncia. Ci convocarono il giorno dopo e ci trovammo davanti ad un identikit che era stato disegnato con il contributo decisivo del vigile urbano in servizio vicino al Senato. Aveva visto mia sorella mentre parlava con un uomo a bordo di una Bmw. Quando è apparso il profilo, il poliziotto ha avuto un sussulto. Ha esclamato: 'Ma questo è De Pedis'. Poi ha scosso la testa e ha detto che era impossibile, perché si trovava all'estero".
E De Pedis, che lei sappia, si trovava all'estero?
"Io neanche sapevo chi fosse questo De Pedis. Ho visto un identikit talmente preciso che indicava subito l'autore del probabile rapimento. Tutti sanno che le prime 24 ore di indagini sono decisive per risolvere un caso. Se ci fosse stata la volontà sono certa che Emanuela poteva essere rintracciata".
E adesso, con le dichiarazioni di Sabrina Minardi, è convinta che si possa risolvere?
"L'importante è parlarne. Bisogna continuare a cercare la verità. Il dubbio è la cosa peggiore".
Ci sono state resistenze anche negli ambienti del Vaticano?
"C'è stata molta solidarietà. Ma come in tutti gli ambienti c'è chi ci è stato vicino e chi ha scelto il silenzio".
La magistratura ha avuto difficoltà, non sempre c'è stata collaborazione.
"Esistono degli accordi di procedura che vanno seguiti e rispettati. Ricordo che il pm Domenico Sica ha ottenuto la collaborazione della segreteria di Stato".
E' servito a poco.
"Chi aveva in mano mia sorella era in grado di controllare tutto".
Tutto?
"Una volta il pm Sica chiese e ottenne di essere presente durante una delle telefonate dell'americano, quello che chiedeva il rilascio di Ali Agca in cambio di Emanuela. Si sistemò nella stanza del cardinale Agostino Casaroli e attesero insieme l'ora stabilita. L'uomo non si fece sentire. Ma appena Sica lasciò il Vaticano chiamò. Era seccato. Ci disse: 'Volete fare i furbi, lasciate stare la magistratura'".
La sua famiglia ha dato credito alla pista internazionale?
"Mio padre era convinto che mia sorella fosse vittima di un gioco più grande di noi. Quando chiamò, l'americano disse di essere amico di Mario e Pierluigi, quelli che si erano fatti sentire per primi. Era un modo di far capire che si trattava della stessa gente. Oggi, quando ci penso, il collegamento con la banda della Magliana è evidente. All'epoca era difficile, impossibile".
Enrico De Pedis riposa a Sant'Apollinare. Sua sorella frequentava la scuola di musica della Basilica. Nella stessa Basilica doveva suonare il giorno la sua scomparsa per un concerto. E' stata rapita a pochi metri da quel luogo. La tragedia di sua sorella è piena di simbologia.
"Emanuela è stata vittima e strumento di un ricatto".
Suo padre aveva visto documenti compromettenti.
"Mio padre si occupava delle domande per le udienze pubbliche con il Papa".
Era un caso che doveva fare rumore.
"Per mettere in difficoltà il Vaticano".
Perché?
"Questo non lo so. Ma se è stata rapita dalla Banda della Magliana, con quello che significa questa Banda e per le implicazioni che ha avuto, forse si capisce anche il motivo".
(27 giugno 2008)
Sabrina Minardi: la favola cominciò così
orlandi, la teste chiave sabrina minardi
Dal re del gol al boss della mala
Le nozze con il calciatore nel 1979, l'incontro nell'82 con De Pedis. E la figlia innamorata di un pirata della strada
Cominciò così. Come una favola. In prima pagina sul Corriere dello Sport: era il 16 giugno 1979. Titolo: «Si sposa il re del gol». Bruno Giordano e Sabrina Minardi. Lui era il centravanti della Lazio, il capocannoniere della serie A, 23 anni e Roma ai suoi piedi. Il giorno delle nozze di Bruno Giordano e Sabrina Minardi, nel giugno del 1979
Bruno e Sabrina, amore trasteverino, sbocciato tra via del Moro e vicolo de' Cinque. Due anni dopo le nozze, nacque Valentina, che oggi ha 27 anni, i capelli rossi e gli occhi acquamarina, un fiore di loto tatuato sulla spalla destra e tre stelline su un piede a coprire una cicatrice: «Forse siamo nati sotto una stella sfortunata», piange. Ha ragione, Valentina. La favola svanì presto, lasciando il posto a una saga maledetta. «Mia madre era gelosa, vedeva sempre mio padre sulle copertine dei giornali accanto ad attrici famose».
Il matrimonio, dopo poco, entrò in crisi. Ma il fatto è che la moglie ormai si era abituata: al lusso, alla bella vita, allo champagne. Fu così che nella primavera dell'82 mentre se ne stava seduta con alcune amiche a un tavolo de La Cabala, mitico pianobar vicino a piazza Navona, qualcuno la nota, chiama un cameriere e ordina di portare proprio a quel tavolo dove lei è seduta un mazzo di rose e una bottiglia di champagne. Effetto fenomenale. Quell'uomo, però, si chiama Enrico De Pedis, detto Renatino, è il boss in ascesa della banda della Magliana. Lui, quando si presenta, gli dice di essere un imprenditore, gestisce la catena dei supermercati Sma.
Non è mica vero, ma lei ci crede: «Mi trattava come una bambina, mi portava alla sauna del Grand Hotel, vivevamo come nel film Il Padrino. Mi faceva mille regali, valigie Louis Vuitton piene di banconote da 100 mila lire, mi diceva spendili tutti, se ritorni a casa senza averli spesi non ti apro la porta — così ha raccontato Sabrina due anni fa a Raffaella Notariale di Chi l'ha visto? —. Andavo da Bulgari, da Cartier, pagavo in contanti per due orologi d'oro, i commessi mi guardavano preoccupati, pensavano che fossero il bottino di una rapina. Ma io li tranquillizzavo, dicevo loro: Me li dà mio marito, sapete, è un tipo stravagante... ». I primi due anni sono di «grande passione», dice Sabrina, fino a quando — novembre '84 — Renatino viene arrestato dalla Squadra Mobile proprio a casa di lei, in via Elio Vittorini, all'Eur. Due anni di passione, ma anche di cocaina e altri giochi pericolosi.
Sabrina all'inizio non sa che Renatino è il boss dei boss della Magliana, poi però un giorno le capita sotto gli occhi Il Messaggero e legge un articolo. Allora capisce e prova per la prima volta terrore. In quegli anni lei ha visto molte cose. Gelli («Credo che anche Renato s'iscrisse alla P2...»), Pippo Calò («Con lui erano baci e abbracci, quando andavamo a Palermo chiamava Renato figghiu... ») e poi Carboni, Marcinkus, il banchiere Calvi («Quando i miei genitori si ammalarono di tumore ci pensò lui a farli curare a Parigi... »). Vide molte cose Sabrina, che però non doveva vedere. «Così un giorno tentarono di rapire mia figlia Valentina — ha dichiarato ai pm —. Allora chiamai Renato e lui mi disse: Se ti sei scordata quello che hai visto non succederà niente a tua figlia... In effetti, fino ad oggi non le è successo nulla, però è vero che Renato è morto ma ci sono in giro altre persone...».
Valentina Giordano: anche lei quest'anno è finita in prima pagina. La sera del 22 maggio scorso era sulla Mercedes guidata dal suo fidanzato, Stefano Lucidi, stavano litigando per motivi di gelosia. Lui non si è fermato a un rosso di via Nomentana e ha ucciso due ragazzi su uno scooter. Lucidi ora è in carcere, accusato di omicidio colposo. «Ricorderò sempre la telefonata che mio padre fece a mia madre — racconta Valentina — quando su un giornale uscì la mia foto da piccola in braccio a Renatino. Non ti azzardare più a mettere Valentina in braccio a quello, le disse mio padre, perché se parte una revolverata uccideranno anche lei. Tanto lo sai che i boss fanno tutti la stessa fine: a bocca sotto sul marciapiede ». Profetico, Giordano. Renatino De Pedis uscì dal carcere nell'87, si sposò con un'altra e quando Sabrina lo seppe partì per il Brasile e ci rimase un anno e mezzo. Poi però tornò e ritrovò sempre lui, che andò a citofonarle sotto casa: «Sento puzza di bruciato, fuggiamo in Polinesia», le disse il bandito. Il giorno dopo era il 2 febbraio del '90, andarono insieme a fare le ultime spese. Lei stava ancora dentro a una merceria, quando in via del Pellegrino, vicino a Campo de' Fiori, Renatino finì «a bocca sotto sul marciapiede» per mano di due killer.
Come aveva previsto Giordano. Ma anche la carriera di Bruno aveva subìto brutti colpi: il calcio- scommesse dell'80, l'ingresso a Regina Coeli. E la cattiva stella non risparmiò nessuno della famiglia: la mamma morta in un incidente stradale, la sorella Silvia che si bucava e finì dentro per spaccio, rapine, furti. «Non è mai stato fortunato, Bruno, con le sue donne — sospira l'avvocato Titta Madia, che difese a suo tempo Silvia Giordano —. Lui ha fatto di tutto per aiutarle. Ma non c'è mai riuscito, purtroppo». Oggi Bruno ha anche smesso di provarci. Ha una nuova famiglia e la protegge come può dal passato che di tanto in tanto riaffiora e lo perseguita. Sabrina nel frattempo si è disintossicata, vive in comunità, con una pensione minima e un braccio malridotto per un terribile incidente con l'auto. Dopo anni di psicofarmaci, alcol e cocaina, non è più la bella ragazza che andò in sposa al re del gol, quasi 30 anni fa. «Mia mamma però ora sta meglio — giura Valentina —, sono convinta che ce la farà ».
Fabrizio Caccia
24 giugno 2008
Il caso Orlandi
Le rivelazioni di Sabrina Minardi, ex compagna del boss della Magliana De Pedis
Il corpo fatto sparire in un cantiere a Torvaianica. La famiglia: "Vogliamo le prove"
Caso Orlandi, parla la superteste
"Rapita per ordine di Marcinkus"
Accuse verso lo scomparso presidente Ior dalla ex moglie del calciatore Giordano
In un sacco anche il figlio di un boss ucciso per vendetta. Ma le date non corrispondono
di MARINO BISSO E GIOVANNI GAGLIARDI
I manifestini per la scomparsa di Emanuela Orlandi sono ricomparsi per le strade di Roma
Negli anni '80, la Minardi, dopo la separazione con il "bomber" della Lazio Bruno Giordano, ebbe una storia con De Pedis, che nel dicembre 1984 fu catturato proprio grazie al pedinamento della donna. Gli misero le manette nell'appartamento di Via Vittorini 63 dove lei viveva. Negli anni successivi, Minardi attraversò periodi segnati dalla cocaina. Oggi si trova in una comunità terapeutica in Trentino. Poche settimane fa, la sua famiglia è tornata all'attenzione della cronaca perché la figlia, Valentina Giordano, fu protagonista, insieme al fidanzato Stefano Lucidi, del tragico incidente sulla Nomentana in cui morirono Alessio Giuliani e la sua ragazza Flaminia Giordani.
"Nel sacco anche un bambino". "Successe tutto a Torvaianica", ha ricordato Sabrina Minardi durante un colloquio con i dirigenti della squadra mobile, avvenuto il 14 marzo scorso. "Con Renatino, a pranzo da Pippo l'Abruzzese, arrivò Sergio, l'autista, con due sacchi. Andammo in un cantiere, io restai in auto: buttarono tutto dentro una betoniera. Così facciamo scomparire tutte le prove, dissero". In uno di quei sacchi c'era il corpo di Emanuela Orlandi e nell'altro, sostiene la donna, un bambino di 11 anni ucciso per vendetta, Domenico Nicitra, figlio di uno storico esponente della banda.
Date contrastanti. La testimone sostiene di essere stata la compagna del boss della Magliana tra la primavera dell'82 e il novembre dell'84. Emanuela Orlandi scomparve il 22 giugno dell'83, ma Domenico Nicitra, il bambino ucciso, morì dieci anni dopo, il 21 giugno 1993, quando De Pedis era già morto (fu ucciso all'inizio del 1990). Forse la confusione sulle date è colpa degli psicofarmaci e della droga di cui la testimone ammette di aver fatto uso per anni. Ma le dichiarazioni rese ai magistrati restano sufficientemente circostanziate e tali da giustificare un supplemento di indagini.
"Consegnai Emanuela a un sacerdote". La donna racconta di aver accompagnato con la sua macchina Emanuela Orlandi (forse durante il rapimento, ndr) e di averla consegnata a un sacerdote. Accadde sei, sette mesi prima - dice - della tragica esecuzione della figlia del commesso della Casa Pontificia. "Arrivai al bar del Gianicolo in macchina (...) Renatino mi aveva detto che avrei incontrato una ragazza che dovevo accompagnare al benzinaio del Vaticano. Arriva 'sta ragazzina: era confusa, non stava bene, piangeva e rideva. All'appuntamento c'era uno che sembrava un sacerdote: scese da una Mercedes targata Città del Vaticano e prese la ragazza. A casa domandai: A Renà, ma quella non era... Se l'hai conosciuta, mi rispose, è meglio che te la scordi. Fatti gli affari tuoi".
"Poi - aggiunge Minardi - a De Pedis chiesi: 'in mezzo a che impiccio mi hai messo', e lui rispose 'nessun impiccio'". "Di li a pochi giorni - ha detto ai pm - tentarono di rapire mia figlia, chiamai immediatamente Renato e mi disse 'se ti sei scordata quello che hai visto non succederà niente a tua figlia'. In effetti, fino a oggi non le è successo nulla" però "ho un po' di timore, perché è vero che Renato è morto, ma ci sono altre persone...".
E ancora sui ruoli rivestiti quel giorno: "La Bmw la guidava Sergio". Di quest'ultimo, di età compresa tra i 21 e i 24 anni, Minardi dà anche una descrizione: "Sarà stato alto, più o meno un metro e novanta, era parecchio più alto di Renato. Belle spalle, fisico da boxer, da sportivo, insomma. Capelli chiari e occhi verdi-azzurri. Molto riservato. Io lo vedevo sempre, faceva l'autista a Renato. Aveva un'Audi bianca. La Bmw la vidi soltanto in quel frangente lì su. Sergio l'aveva portata al bar Gianicolo".
La testimone specifica, inoltre, che lei e De Pedis arrivarono al bar Gianicolo a bordo di una A112 bianca, di proprietà della donna."Renato e Sergio me la misero (la ragazza, ndr) in macchina, più che Renato, Sergio prese la ragazza dalle mani di questa signora e la accompagnò nella mia macchina. Poi, io salii in macchina e andai. Mi dissero che alla fine di quella via c'era questo signore che l'aspettava".
La prigione. Emanuela Orlandi sarebbe stata tenuta (durante il rapimento, ndr) in un'abitazione, vicino a piazza San Giovanni di Dio, che aveva "un sotterraneo immenso che arrivava quasi fino all'ospedale San Camillo", ha aggiunto Minardi. Di lei si sarebbe occupata la governante della signora, Daniela Mobili. Secondo la testimone, la Mobili, sposata con Vittorio Sciattella, era vicina a Danilo Abbruciati, il killer della Banda della Magliana freddato nell'82 durante il fallito agguato a Roberto Rosone, vicepresidente del Banco ambrosiano.
All'appuntamento al Gianicolo, Emanuela sarebbe arrivata con la donna di servizio. Incalzata dai magistrati sull'esatta collocazione della casa, la teste ha spiegato che si trovava, venendo dalla stazione di Trastevere e salendo dalla circonvallazione Gianicolense, uno o due semafori prima della piazza San Giovanni di Dio: "A un certo punto, sulla destra ci sono dei giardini, un piccolo parco, in quella traversa lì. Dovrebbe esserci pure un fabbricato basso, un palazzo se lo ricordo bene". E il sotterraneo? "Immenso, arrivava quasi fino all'ospedale San Camillo. Io lo vidi, ma poi mi misi a camminà du' minuti, poi che mi fregava. Insomma, non mi interessava andare oltre".
Monsignor Marcinkus. Emanuela Orlandi sarebbe stata prelevata da Renatino De Pedis su ordine di monsignor Marcinkus, che fu presidente dello Ior, la banca del Vaticano, dal 1971 al 1989. Marcinkus è morto il 20 febbraio 2006 a Sun City, in Arizona. Alla specifica domanda dei magistrati, tramite chi Renato fosse stato delegato a prendere Emanuela, la donna risponde: "Tramite lo Ior... Quel monsignor Marcinkus... Renato ogni tanto si confidava". Sulle motivazioni del sequestro: "Stavano arrivando secondo me sulle tracce di chi... perché secondo me non è stato un sequestro a scopo di soldi, è stato fatto un sequestro indicato. Io ti dico monsignor Marcinkus perché io non so chi c'è dietro.. ma io l'ho conosciuto a cena con Renato... hanno rapito Emanuela per dare un messaggio a qualcuno".
La testimone sottolinea di non sapere chi materialmente prese Emanuela: "Quello che so è che (la decisione, ndr) era partita da alte vette... tipo monsignor Marcinkus... E' come se avessero voluto dare un messaggio a qualcuno sopra di loro. Era lo sconvolgimento che avrebbe creato la notizia". La donna fa un paragone con la morte di Roberto Calvi: "Gli hanno trovato le mani legate dietro, perché tu mi vuoi dare un messaggio". In un colloquio successivo, il 19 marzo, la donna aggiunge: "Renato, da quello che mi diceva, aveva interesse a cosare con Marcinkus perché questi gli metteva sul mercato estero i soldi provenienti dai sequestri".
Le ragioni del rapimento. La teste, sentita successivamente dal procuratore aggiunto Italo Ormanni e dai pm Andrea De Gasperis e Simona Maisto, ipotizza come ragione della scomparsa della giovane una "guerra di potere": "Io la motivazione esatta non la so - dice ai magistrati - però posso dire che con De Pedis conobbi monsignor Marcinkus. Lui era molto ammanicato con il Vaticano, però i motivi posso immaginare che fossero quelli di riciclare il denaro. Mi sembra che Marcinkus allora era il presidente dello Ior... però sono ricordi così. Gli rimetteva questi soldi... Io a monsignor Marcinkus a volte portavo anche le ragazze lì, in un appartamento di fronte, a via Porta Angelica... Sarà successo in totale quattro o cinque volte, tre-quattro volte... Lui era vestito come una persona normale".
Secondo la donna, l'iniziativa partiva da Renato. "C'era poi il segretario - rivela - un certo Flavio. Non so se era il segretario ufficiale. Comunque gli faceva da segretario. Mi telefonava al telefono di casa mia e mi diceva: 'C'è il dottore che vorrebbe avere un incontro'. Embè, me lo faceva capire al telefono. Poi, a lui piacevano più signorine ('minorenni, no')! Quando entravo, vedevo il signore; non che mi aprisse lui, c'era sempre questo Flavio. Mi facevano accomodare i primi cinque minuti, poi io dicevo: 'Ragazze, quando avete fatto, prendete un taxi e ve ne andate. Ci vediamo, poi, domani'".
Sabrina Minardi, rispondendo ai magistrati, precisa che le modalità con cui avvenivano questi incontri erano diverse da quelle riferite sull'episodio del Gianicolo. "Mi ricordo che una volta Renato portava sempre delle grosse borse di soldi a casa. Sa, le borse di Vuitton, quelle con la cerniera sopra. Mi dava tanta di quella cocaina, per contare i soldi dovevo fare tutti i mazzetti e mi ricordo che contò un miliardo e il giorno dopo lo portammo su a Marcinkus".
A cena da Andreotti. Sabrina Minardi ha riferito di essere andata anche a casa di Giulio Andreotti. "Io andai anche a cena a casa di Andreotti, con Renato (De Pedis, ndr) - racconta - ovviamente davanti a me non parlavano... due volte ci sono andata... Renato ricercato... La macchina della scorta sotto casa di Andreotti della polizia... Renato ricercato, siamo andati su... eh... accoglienza al massimo... c'era pure la signora... la moglie... una donnetta caruccia ... ovviamente davanti non parlavano di niente". La teste precisa che Andreotti "non c'entra direttamente con Emanuela Orlandi, ma con monsignor Marcinkus sì".
La sorella: "Chi sa, si liberi la coscienza". Domani, riunione degli investigatori negli uffici giudiziari per fare il punto dell'indagine. La sorella di Emanuela vuole le prove: "Senza quelle, non credo alla presunta testimone. Emanuela non è andata via spontaneamente, siamo sicuri di questo e quindi qualcuno è davvero a conoscenza di ciò che è accaduto. Mi chiedo se non sia arrivato, e già da tempo, il momento che questo qualcuno venga fuori e si liberi la coscienza".
Inquirenti in cerca di riscontri. Gli inquirenti, prima di pronunciarsi sulla fondatezza o meno delle dichiarazioni, vogliono riscontrare ogni più piccolo particolare. "Nel verbale della testimone ci sono indubbie incongruenze temporali che ci lasciano un po' perplessi - ammettono a piazzale Clodio - ma alcuni dettagli sono così precisi e circostanziati che meritano di essere approfonditi con attenzione". Del resto, è la prima volta che qualcuno riferisce fatti concreti sulla scomparsa di Emanuela Orlandi anche se il coinvolgimento in questa vicenda della Banda della Magliana non è un elemento inedito. "La supertestimone - è stato spiegato in Procura - non beneficia di alcun regime di protezione, non è indagata così come nessuno altro è finito sotto inchiesta sulla base di quanto da lei stessa detto". Minardi non avrebbe chiesto agli inquirenti nulla in cambio della sua lunga audizione.
Il pentito: "I Lupi grigi non c'entrano". Non è la prima volta che il nome di Emanuela Orlandi viene collegato alla Banda della Magliana. Una telefonata anonima giunta negli anni scorsi alla redazione di Chi l'ha visto? rivelò che i resti della ragazza erano nella basilica di Sant'Apollinare a Roma: "Se volete saperne di più su Emanuela Orlandi, guardate nella tomba di De Pedis", tumulato nella chiesa, nonostante i suoi trascorsi, per le generose offerte che aveva elargito alla parrocchia. E un pentito della banda, un anno fa, disse ai magistrati della Procura di Roma che in carcere, all'epoca della scomparsa della 15enne, girava insistente la voce che la pista dei "lupi grigi" collegata ad Ali Agca, l'attentatore di Giovanni Paolo II, non c'entrava niente col rapimento. "Si diceva - disse Antonio Mancini - che la ragazza era robba nostra, l'aveva presa uno dei nostri".
(23 giugno 2008)