I miei rapporti con Flavio Carboni erano tenuti dal mio amico Romano Comincioli", ammette Silvio Berlusconi deponendo al Tribunale di Verona il 27 settembre 1988 : si tratta di un'ammissione importante, ancorché inevitabile.
Romano Comincioli attualmente alle dipendenze di Publitalia, di Berlusconi è un ex compagno di liceo, e da sempre è un suo stretto e fedelissimo collaboratore fin da metà anni Sessanta, quando Comincioli vendeva le abitazioni che la Edilnord aveva costruito nel centro residenziale di Brugherio. A metà anni Settanta, quando Berlusconi ha necessità di una società dì comodo per alcune operazioni immobiliari, il Comincioli fonda, insieme con Maria Luisa Bosco (anch'essa agente immobiliare della EdiInord), la Generale commerciale sri. La società nasce a Milano il 15 aprile 1976 con un capitale di 900 mila lire, e scopo sociale la compravendita di immobili in proprio e per conto terzi, amministratori Cominciolì e Bosco, entrambi con facoltà di firma disgiunta. Benché dotata di un risibile capitale sociale, la Generale commerciale comincia subito a manovrare cifre ingentissime, delle quali tuttavia nei suoi bilanci non vi è traccia.
Sia personalmente, sia quale contitolare della Generale commerciale, Comincioli è uomo di fiducia di Berlusconi: ne attua le direttive, opera con i suoi finanziamenti, agisce in suo nome e per suo conto. Per Berlusconi, Comincioli è un prezioso prestanome, un necessario e comodo paravento quando si tratta di dare corso a ardite e "pericolose" operazioni speculative in diretto contatto con noti esponenti della criminalità organizzata o con affaristi malavitosi.
Questi complessi rapporti scabrosi fanno perno soprattutto sulle spericolate scorribande del faccendiere Flavio Carboni, e a esse si intrecciano. Berlusconi, tramite il paravento Cominciolì, concede a Carboni cospicui finanziamenti, in cambio dei quali Carboni coinvolge Comincioli cioè Berlusconi in numerose operazioni immobiliari. Pur non disdegnando altre località, l'ambito di manovra prevalente è la costa quasi vergine nel nord della Sardegna, tra Olbia e Porto Rotondo. Carboni, che è sardo, conosce il territorio dell'isola, e agisce secondo uno schema molto semplice: accaparrato un terreno agricolo, si attiva per mutarne la destinazione in terreno edificabile, decuplicandone il valore di mercato; dopodiché: o vende una porzione del terreno e utilizza il ricavato per stipulare il rogito e assicurarsi la proprietà definitiva del rimanente, oppure intesta i terreni a una società appositamente creata e ottiene il medesimo risultato cedendo parte delle quote societarie; in taluni casi, attua insieme l'una e l'altra combinazione.
"La prima operazione", preciserà Carboni, "la feci con Pompeo Locatelli, uno speculatore milanese al quale pagai 1 miliardo e 300 milioni di allora per dei terreni all'interno. Poi mi spostai sulla costa... Nella zona di Porto Rotondo. Poiché il paese era stato monopolizzato da un gruppo di operatori turistici, acquistai un lotto che restava fuori del comprensorio. Lo chiamai Costa delle Ginestre... Fu un affare colossale: 45 ettari per 150 milioni". Carboni acquista il lotto del "colossale affare" dalla famiglia del giornalista Jas Gawronski, e lo intesta alla società Costa delle Ginestre, dopodiché cede quote societarie a Romano Comincioli (cioè a Berlusconi).
Ma il faccendiere Carboni conduce una vita da nababbo, al disopra delle sue effettive possibilità, così è costretto a ricorrere agli usurai romani: "Io sapevo che non erano stinchi di santi ma mi servivano per avere denaro... Costa delle Ginestre è una società te avevo dato a Balducci e a altri usurai per i soliti interessi". In effetti, nella società Costa delle Ginestre sono associati: Flavio Carboni e suo fratello Andrea, soci di maggioranza; Romano Comincioli (cioè Berlusconì), socio di minoranza Domenico Balducci, socio di minoranza e Danilo Abbruciati , socio occulto. Questo assetto societario verrà confermato dal mandato di cattura spiccato il 29 gennaio 1983 dal giudice istruttore Imposimato a arico dei fratelli Carboni e di esponenti della cosiddetta "Banda della Magliana"
Seguendo le orme del prestanome di Berlusconi, troviamo Romano Comincioli coprotagonista di un colossale affare truffaldino, imbastito da Carboni e da Fiorenzo Ravello.
Ravello, classe 1925, cittadino italiano ormai residente in Svizzera (dove si fa chiamare Lay Florent Ravello), comincia come precettore presso illustri famiglie di Venezia, e in seguito diventa amministratore dei loro patrimoni immobiliari. Carboni lo conosce in circostanze singolari: acquistato a Porto Rotondo un appezzamento di proprietà del malavitoso Simplicio Dejana (condannato all'ergastolo per omicidio), Carboni scopre che il terreno era già stato venduto abusivamente da qualcuno che al rogito si era sostituito a Dejana facendolo figurare presente (mentre in realtà era in carcere), e che nel frattempo su quel terreno erano sorte varie costruzioni di Porto Rotondo; Carboni chiede spiegazioni alla società titolare dei nuovi insediamenti, amministrata da Ravello.
"I veri proprietari", racconterà Carboni, "si chiamavano Cmi, Gaggia, Pratolongo, e un famoso banchiere inglese... Ravello impallidi sentendo il motivo della mia visita. Parlammo tre ore. Alla fine mi propose un accordo". Nasce così tra i due un rapporto affaristico che nei fatti consentirà alla mafia di investire nell'edilizia fiumi di capitali sporchi. D'intesa con Carboni Ravello imbastisce in breve tempo un colossale marchingegno di ingegneria societaria.
Il 17 ottobre 1973, Ravello promuove la costituzione a Tempio Pausania (Sassari) della società Punta Volpe spa, alla quale intesta i beni che lui stesso amministra e rappresenta a Porto Rotondo e nel Comune di Olbia; subito dopo, la società Punta Volpe viene trasferita a Trieste, dove contemporaneamente vengono costituite altre dieci nuove società per azioni; nel capoluogo giuliano ha già sede la Immobiliare Sea spa, che prende parte attiva all'operazione. Il 12 dicembre dello stesso anno, la società Punta Volpe si fonde per incorporazione e singolarmente con ognuna delle undici spa; il senso dell'operazione è di suddividere i terreni in frazioni più commerciabili, che divengono così più snelle proprietà di singole società, il tutto in esenzione di oneri fiscali (da qui la scelta di Trieste, che ai tempi godeva di un regime fiscale privilegiato), e facendo ricadere ogni altro onere sulla società Punta Volpe, che così svuotata li elude e anzi viene cancellata dal registro delle società; ma il significato ultimo di tutta l'operazione è che in tal modo Carboni si assicura l'80 per cento (mentre a Ravello va tacitamente il 20 per cento) dei terreni e dei fabbricati delle undici spa. Dai dati catastali emerge che i soli terreni della defunta Punta Volpe sono di oltre 143 ettari; la cessione avviene al prezzo dì 2 miliardi 250 milioni dei quali l'80 per cento di Carboni ammonta a i miliardo e 800 milioni, pagamento dilazionato all'8 per cento di interesse annuo; il faccendiere versa una prima rata di 250 milioni, poi fa fronte alle altre scadenze cedendo a Ravello quote di sue società. Al 31 agosto 1974, secondo un promemoria contabile sequestrato dalla Guardia di Finanza, Carboni è in debito di circa 354 milioni, e ciò porta a una nuova ripartizione delle rispettive quote: i due convengono, sulla parola, che fino all'estinzione del debito, e a garanzia dello stesso Ravello è socio al 50 per cento delle società nelle quali è stato disperso il patrimonio della ex società Punta Volpe.
L'operazione, detta delle "12 sorelle", e definita "un patto a delinquere" nella sentenza 8 febbraio 1986 del Tribunale di Roma contro la malavita romana, interessa qui unicamente per la destinazione finale delle singole società e le relative proprietà immobiliari. Tre di esse transitano per la Generale commerciale di Comincioli e finiscono nella Fininvest di Berlusconi: sono le spa Poderada, Su Ratale, Su Pinnone. In altre due delle truffaldine società, Prato Verde e Immobiliare Sea, Comincioli-Berlusconi è presente direttamente, come sono presenti in ulteriori due, Monte Majore e Punta Lada ma attraverso la fiduciaria Sofint controllata al 50 per cento. In tre delle società subentrano interessi mafiosi e della malavita romana: Iscia Segada e Mediterranea vanno ai siciliani Luigi Faldetta e Lorenzo Di Gesù per conto di Pippo Calò (il "cassiere della mafia"), mentre Sa Tazza passa a Domenico Balducci. Circa qucst'ultima, la sentenza giudiziaria 8 febbraio 1986 appena ricordata evidenzia che Balducci con i terreni della stessa "costituì la cooperativa Delta, la quale, con il gioco della cessione successiva delle quote, sembra veramente avere avuto la funzione di stanza di compensazione delle azioni reciproche dei maggiori usurai romani". Della Delta immobiliare costruzioni sono infatti soci Spurio Oberdan, Aldo Proietti, Cesare Gemelli, Amedeo Mastracca, Pietro Cuccarini [padrc della soubrette Fininvest, Lorella, NdA], e Luciano Merluzzi, usurai, e uomini di Calò come Guido Cércola Luciano Mancini, Franco Di Agostino. Nel marzo 1978, la Delta figurerà tra i clienti "in sofferenza" del Banco Ambrosiano (l'esposizione è di 28 milioni, di cui 14 rubricati come "perdita certa").
Esclusa Punta Volpe, che abbiamo visto ridotta a un guscio vuoto e quindi soppressa, delle "12 sorelle" rimane Iscia Manna, la quale viene ceduta nel 1974 da Carboni al commercialista milanese (amico di Craxi) Pompeo Locatelli. Carboni è infatti in difficoltà: tra l'altro, ha rilevato il pacchetto di controllo di un giornale sardo, "Tuttoquotidiano", che in pochi mesi registra un passivo di circa 500 milioni.
Nel 1975 la situazione economica di Carboni, secondo Emilio Pellicani (segretario di Carboni), si fa "disperata", e se ne preoccupano anche i suoi partner. "Nell'estate a Porto Rotondo", dichiara Pellicani in un suo memoriale alla Procura di Trieste, "Ravello, Locatelli e Balducci avevano tentato un piano di salvataggio per Carboni. Il piano culminerà in un incontro che si terrà verso la fine di settembre all'Hotel Gritti di Venezia... L'incontro, a detta di Carboni, fu piuttosto burrascoso, perché le condizioni risultavano vessatorie e leonine". Fallito l'incontro di Venezia, Carboni è costretto a cercare altri finanziatori, e trovando in Comincioli grandi disponibilità, associa il prestanome di Berlusconi ai propri affari. Nel 1977, i rapporti tra i due divengono strettissimi, poiché Ravello si libera delle sue attività in Italia: infatti, nell'estate è scoppiato lo scandalo Italcasse-Caltagirone (nel quale Ravello è coinvolto quale membro del consiglio di amministrazione della società Flaminia nuova), e il losco affarista decide di ritirarsi definitivamente in Svizzera, liberandosi della propria parte del patrimonio sardo - per intenderci, quello delle "12 sorelle": l'acquirente è Comincioli, cioè Silvio Berlusconi.
Dopo lo scorporo della società Punta Volpe, negli ultimi mesi del 1975 le azioni delle undici società che si sono spartite i suoi beni erano state intestate fiduciariamente alla Sofint (Società finanziaria internazionale), che era dunque divenuta "la cassaforte" del sodalizio Ravello-Carboni. Con il subentro di Comincioli-Berlusconi, Ravello viene liquidato appunto con denaro Generale commerciale-Berlusconi (400 milioni in contanti, e i miliardo e 425 milioni in cambiali). Il contratto, firmato il 9 settembre 1977, cui segue il 4 novembre una convenzione di passaggio di azioni, trasferisce alla società amministrata dal prestanome di Berlusconi Romano Comincioli le spa Poderada (con 2 ettari di terreno a edificabilità di tipo intensivo per 23 mila mc), Su Ratale (a edificabilità intensiva per 99 mila mc), Prato Verde (con edificabilità intensiva per 58.500 mc), Su Pinnone (edifici già esistenti adibiti a uffici, e sede del Consorzio di Porto Rotondo).
Ma l'operazione non si chiude pacificamente. Ravello non ha infatti provveduto a regolare le pendenze fiscali delle società cedute, e ne nasce un pittoresco contenzioso giudiziario - in una "memoria" depositata al tribunale, il prestanome di Berlusconi definisce Ravello "finanziere fasullo" ed evasore con un piede sempre in qualche paradiso fiscale...
Anche tra Carboni e Comincioli-Berlusconi si apre una disputa che approda al Tribunale di Roma. Tra l'aprile e il maggio 1978, Carboni promuove ben sei cause civili contro Comincioli-Berlusconi, la Generale commerciale e la Sofint, sostenendo che nelle operazioni di subentro a Ravello, il berlusconiano Comincioli e la berlusconiana Generale commerciale hanno agito per conto dello stesso Carboni, cioè interponendosi come suoi prestanome avendone in cambio cospicui appezzamenti di terreni edificabili.
L'aspetto ulteriormente singolare di questa sintomatica lite tra un prestanome e un faccendiere in merito ai loro loschi affari, èche Carboni adendo il tribunale contro la Sofint adisce anche contro sé medesimo in quanto comproprietario effettivo della società... E altresì evidente che il contrasto tra i due non può farsi troppo cruento, fino a rischiare di svelare il groviglio di inconfessabili interessi che lega i due affaristi, come ad esempio un giro di cambiali tra la Sofint e le spa Finanziaria regionale veneta, Safiorano e Stella azzurra, società che la sentenza 8 febbraio 1986 del Tribunale di Roma attribuirà alla "famiglia di Joscf Ganci in questi giorni deceduto, imputato di traffico internazionale di stupefacenti e di appartenenza a Cosa Nostra".
Il 9 ottobre 1978 le parti comunicano al Tribunale la composizione della controversia, estinguendo le cause: è infatti intervenuta una risistemazione generale dei rapporti tra Carboni e Comincioli-Berlusconi. Berlusconi paga 3 miliardi e 500 milioni (detratto il miliardo e 825 milioni già versati nel 1977 in contanti e cambiali), e ottiene in cambio la definitiva proprietà delle società Su Ratale, Su Pinnone e Poderada (che troveremo per anni nella Fininvest); Comincioli-Berlusconi viene confermato socio di Carboni nella Prato Verde, che rimane intestata fiduciariamente alla Sofint (con altre società del faccendiere sardo), Sofint che Carboni e Comincioli-Berlusconi controllano paritariamente al 50 per cento.
La Prato Verde spa è per molti aspetti una società "a rischio". Il prestanome di Berlusconi, Comincioli, ne diviene amministratore unico il 30 novembre 1977, e in quella stessa data la sede sociale viene trasferita da Trieste a Milano, presso un commercialista del giro berlusconiano.
L'espediente del "prestanome-paravento" Comincioli si rivela quantomai opportuno per Berlusconi di lì a poco, quando cioè comincia ad avere quali soci nella Prato Verde anche personaggi decisamente pericolosi. Uno di essi è Fausto Annibaldi, già noto alle cronache giudiziarie e nel gruppo di finanziatori-usurai di Carboni; interrogato il 17 luglio 1982 dal procuratore di Perugia Domenico Tontoli Montalto, Annibaldi confermerà: "Sono stato socio della Prato Verde per il 5 per cento [come, sempre per il 5 per cento, lo sono stati Francesco Santi, Bernardino e Italo Drago, nonché tale prof. Valentini, reumatologo, tutti residenti a Roma] dal luglio 1980 all'agosto-settembre 1981" (la gestione Comincioli della Prato Verde è 30 novembre 1977-2 maggio 1981); tra l'altro, nella sentenza 8 febbraio 1986 la compartecipazione di Annibaldi nella Prato Verde verrà definita "penalmente rilevante".
Durante la gestione Comincioli-Berlusconi della Prato Verde, e cioè nel febbraio-marzo 1978, Carboni entra in affari con esponenti di 'Cosa Nostra". Tramite i nialavitosi Balducci e Diotallevi, Carboni concorda con un gruppo di mafiosi l’esecuzione di lavori di risanamento nel centro storico di Siracusa, e ottiene un anticipo di 450 milioni; ma l'iniziativa sfurna per J'opposizione della Regio ne Sicilia, e a quel punto i committenti siciliani (Luigi Faldetta, Lorenzo Di Gesù, Gaetano Sansone, Antonio Rotolo, e un certo "Mario" che si scoprirà essere il 'cassiere della mafia" Pippo Calò) pretendono la restituzione dei 450 milioni anticipati, e 250 milioni di interessi. Carboni salda il debito attraverso cambiali per 700 milioni emesse dalla società Elbis di Milano in favore di Romano Comincioli e da questi "girate". Nella Elbis srI (società costituita il 12 novembre 1969 dal messinese Antonino Franciò e da alcuni prestanome di Berlusconi) Carboni è entrato da poco apportando 138 milioni, e dunque BerlusconiComincioli non possono rifiutare "un favore" al consocio...
Il pieno e diretto coinvolgimento di Romano Comincioli, e dunque di Berlusconi, nelle iniziative di Flavio Carboni è tutt'altro che episodico. Insieme, il prestanome di Berlusconi e il faccendiere sardo combinano affari con Ravelio, con Calò, e con altri mafiosi (Sardegna, Siracusa) e anche con un altro protagonista delle cronache giudiziarie, Francesco Pazienza (Prato Verde). Lo spregiudicato faccendiere sardo offre al rappresentante di Berlusconi gioielli ricettati, e il rappresentante di Berlusconi firma assegni destinati a malavitosi, e intrattiene dunque rapporti con la malavita romana. Se la famigerata Banda della Magliana può "lavare" i proventi della droga, delle rapine e dei sequestri di persona, riciclandolì nell'acquisto di terreni, società, costruzioni, cio e anche grazie alle "attività" di Flavio Carboni, alle quali il berlusconiano Comincioli fornisce un decisivo contributo.
Le cambiali sottoscritte dalla Elbis con la "girata" del prestanome dì Berlusconi, Comincioli. vengono consegnate nelle mani di Diotallevi, il quale prowede a recapitarle a Pippo Calò. Costretto poi a una lunga latitanza, Diotallevi verrà catturato a Roma alla fine del 1988.Con la rinuncia "per motivi personali", nel maggio l981, alla carica di amministratore, il prestanonie di Berlusconi, Comincioli, non esce dalla Prato Verde' vi rimane infatti quale socio, e ne mantiene il controllo col suo 50 per cento della Sofint alla quale la Prato Verde fa capo fiduciariamente. Anzi, Comincioli-Berlusconi consente alla Prato Verde di accedere al credito bancario fornendo garanzie e effetti cambiari della Generale commerciale.
A memoria di Pellicani, il plunprotestato e chiacchieratissimo Carboni non era mai riuscito a ottenere fidi bancari: vi riesce per la prima volta nel 1980 grazie a Berlusconi, quando la Banca del Cimino accorda alla Prato Verde uno scoperto di conto corrente fino a 200 milioni; la linea di credito viene riconfermata nel 1981, quando anche il Banco di Santo Spirito accetta di scontare alla Prato Verde effetti rilasciati da Comincioli e da società del gruppo Berlusconi. Ascoltato il 24 febbraio 1983 dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, Pellicani conferma queste operazioni e ne chiarisce meglio la meccanica: "Carboni ottiene i finanziamenti attraverso effetti di società di Comincioli. E uno sconto che ottiene perché, d'accordo con Comincioli stipula dei contratti fasulli nei quali dice di vendere una parte di azioni...". (Carboni, nel settembre 1986 rimedierà l'ennesima condanna per emissione di assegni a vuoto per 775 milioni - nove mesi di carcere).
Nel novembre di quello stesso 1981, la società Prato Verde ottiene finanziamenti ben più cospicui dal piduista Banco Ambrosiano grazie all'interessamento di Francesco Pazienza. Già in estate, Pazienza aveva propiziato un incontro tra il presidente del-l'Ambrosiano Roberto Calvi e Carboni durante una gita in barca lungo le coste sarde, e aveva poi indotto Carboni a chiedere un mutuo garantendogli un esito positivo: il presidente dell'Ambrosiano - gli aveva spiegato - ha necessità di denaro ma non vuole attingere personalmente al suo istituto, bensì attraverso terzi. In effetti, Calvi caldeggia l'operazione di mutuo a favore della Prato Verde; chi invece la osteggia è il suo vice, Roberto Rosone, il quale la ritiene un'operazione rischiosa e anomala - proprio per questa sua intransigenza, Rosone subirà un attentato: "Negai un fido e mi spararono", dirà poi al processo contro Carboni e Diotallevi (condannati a 10 anni di reclusione quali mandanti del killer Abbruciati che nell'attentato ferisce Rosone ma viene ucciso da una guardia giurata).Fatto è che, per ordine di Calvi, il 19 novembre 1981 la sede Fomana del Banco Ambrosiano dispone l'erogazione alla Prato Verde di un primo acconto di 600 milioni, e in più riprese successive il finanziamento arriva a complessivi 6,6 miliardi. Ditale somma, i miliardo e 200 milioni sarebbero finiti a Calvi, 136 vanno a Pazienza per la mediazione, i miliardo e 500 milioni a Fausto Annibaldi quale rimborso prestiti, e il resto si disperde in mille rivoli. Pazienza, Annibaldi, Carboni e altri saranno rinviati a giudizio per concorso in bancarotta fraudolenta aggravata del Banco Ambrosiano.
Il finanziamento del Banco Ambrosiano alla Prato Verde è stato garantito dalla Sofint e da tutta una serie di società che a essa fanno capo; ciò presuppone dunque esservi stato l'assenso del prestanome di Berlusconi, Comincioli. Ma la stessa situazione economica della Sofint è difficile - Piero Citti, dipendente della società, il 7 dicembre 1982 dichiarerà al giudice istruttore Drigani del Tribunale di Trieste: "La Sofint versava in cattive acque... fra l'altro non si erano presentati i bilanci per mancanza di liquidità. Si paventava la messa in liquidazione". E tuttavia, il sodalizio tra Carboni e Berlusconi prosegue. Comincioli e Maria Luisa Bosco (della Generale commerciale) telefonano più volte al giorno presso la sede romana della Sofint, dove pervengono anche chiamate di Fedele Confalonieri (numero due della Fininvest), inentre hanno luogo summit societari tra Carboni e i prestanome di Berlusconi, e incontri in Sardegna.
Tutto precipita il 12 giugno 1982, quando Carboni si dilegua per accompagnare il banchiere piduista Roberto Calvi verso il suo tragico destino, dopo avergli procurato un passaporto falso tramite Diotallevi: sei giorni dopo, il presidente dell'Ambrosiano viene ritrovato a Londra, impiccato sotto il ponte dei Frati neri. Quarantatré giorni dopo il rinvenimento del cadavere del banchiere a Londra, il 30 luglio 1982 Carboni viene arrestato a Lugano, e quindi estradato in Italia.
Quando Carboni e il suo braccio destro Emilio Pellicani verranno arrestati, si avrà l'irreversibile crisi della Prato Verde e della Sofint. Il 9 maggio 1984, il giudice Ragonesi (della sezione fallimentare del Tribunale di Roma) dichiara il fallimento della Prato Verde, mentre il ministero deil'Industna, il 7 luglio l986, revocherà alla Sofìnt l'autorizzazione a esercitare l’attività fiduciaria, e il 6 febbraio 1987 ne decreterà la messa in liquidazione coatta amministrativa.
Si arriva così alla sentenza più voite citata dopo un processo presso il Tribunale di Roma con imputati, tra gli altri, Ernesto Diotallevi, Flavio Carboni, Giuseppe Calò, Danilo Sbarra, Lorenzo Di Gesù, accusati di avere investito in società varie e in beni immobiliari denaro e valori provenienti da rapine, estorsioni, sequestri di persona. A causa dei limiti posti dalle autorità svizzere nell'accordare l'estradizione (di questa comoda "scappatoia" si avvarrà anche il Venerabile maestro Licio Gelli), Carboni non ha potuto essere processato per associazione a delinquere; risponde soltanto di concorso nell'attentato a Rosone, e anche, con Fausto Annibaldi e Romano Comincioli della ricettazione di un brillante rubato del valore dii miliardo di lire. L'8 febbraio 1986 la sentenza: Calò 6 anni dì reclusione, Diotallevi 5, Di Gesù 1 anno e 6 mesi, Sbarra 3 anni e 6 mesi. Carboni e Comincioli vengono assolti. L'attentato a Rosone viene stralciato, e Carboni viene rinviato a giudizio in un diverso processo. In secondo grado, l'11 marzo 1987 la Corte d'Appello di Roma confermerà la pena a Diotallevi e Di Gesù (Calò non si era appellato).
Nel frattempo (il 25 luglio 1983), il prestanome di Berlusconi, Romano Comincioli, pone in liquidazione la Generale commerciale. Nei suoi confronti pendono un processo penale a Roma (quello sopra menzionato) e un procedimento istruttorio a Milano: è dunque opportuno non richiamare l'attenzione anche sulla Generale commerciale, ed è necessano farla uscire tempestivamente di scena.
Il procedimento che coinvolge Comincioli, aperto presso il Tribunale di Milano, concerne il fallimento del Banco Ambrosiano, e vede imputati, tra gli altri, i vertici della Loggia P2 Licio Gelli e Umberto Ortolani, e Francesco Pazienza, Flavio Carboni, Fausto Annibaldi, Gennaro Cassella, e insomma tutti coloro che in vario modo hanno concorso alla bancarotta fraudolenta aggravata dell'istituto di credito presieduto da Roberto Calvi. Carboni, Pazienza e Annibaldi vi sono coinvolti per i 6,6 miliardi erogati alla Prato Verde e finiti in parte nelle loro tasche - ma nella Prato Verde vi erano anche interessi della Generale commerciale e dei suoi amministratori berlusconiani Romano Comincioli e Maria Luisa Bosco: da indiscrezioni trapelate durante la lunga fase istruttoria (durata 6 anni), sembrava che vi fossero implicati anch'essi, ma nell'ordinanza di rinvio a giudizio firmata dai giudici istruttori Antonio Pizzi e Renato Bricchetti i due prestanome di Berlusconi non figureranno tra gli imputati.
Non vi è dubbio che una delle chiavi di lettura del fallimento del Banco Ambrosiano si trovi nella società Prato Verde. I fascicoli e le carte della società, sequestrati già nel 1982 dagli inquircilti romani, sono trasmigrati da un giudice all'altro, da un ufficio al l'altro, e ora giacciono presso la sezione istruzione del Tribunale di Milano. Dell'operato di una società non ripondono i soci bensì solo gli amministratori: al momento del crack, amministratorc unico della Prato Verde e della Sofint è il prestanome Gennaro Cassella (che infatti, nel l992 verrà condannato dal Tribunale di Milano a 5 anni di reclusione).
Il sostituto procuratore di Milano Pier Luigi Dell'Osso, che si occupa della Prato Verde e del ruolo di Carboni rispetto al Banco Ambrosiano, il 27 agosto 1982 interroga Silvio Berlusconi. Per l'occasione, la Fininvest diffonde un comunicato nel quale si afferma che "nessun rapporto societario intercorre tra le società del gruppo e il signor Flavio Carboni. Il signor Carboni ha svolto invece una propria autonoma attività di intermediazione come fiduciario di proprietari di terreni interessanti un progetto edilizio del Comune di Olbia attualmente all'esame di una società del gruppo" - una "smentita" così impudente e sibillina da non smentire nulla...
Romano Comincioli attualmente alle dipendenze di Publitalia, di Berlusconi è un ex compagno di liceo, e da sempre è un suo stretto e fedelissimo collaboratore fin da metà anni Sessanta, quando Comincioli vendeva le abitazioni che la Edilnord aveva costruito nel centro residenziale di Brugherio. A metà anni Settanta, quando Berlusconi ha necessità di una società dì comodo per alcune operazioni immobiliari, il Comincioli fonda, insieme con Maria Luisa Bosco (anch'essa agente immobiliare della EdiInord), la Generale commerciale sri. La società nasce a Milano il 15 aprile 1976 con un capitale di 900 mila lire, e scopo sociale la compravendita di immobili in proprio e per conto terzi, amministratori Cominciolì e Bosco, entrambi con facoltà di firma disgiunta. Benché dotata di un risibile capitale sociale, la Generale commerciale comincia subito a manovrare cifre ingentissime, delle quali tuttavia nei suoi bilanci non vi è traccia.
Sia personalmente, sia quale contitolare della Generale commerciale, Comincioli è uomo di fiducia di Berlusconi: ne attua le direttive, opera con i suoi finanziamenti, agisce in suo nome e per suo conto. Per Berlusconi, Comincioli è un prezioso prestanome, un necessario e comodo paravento quando si tratta di dare corso a ardite e "pericolose" operazioni speculative in diretto contatto con noti esponenti della criminalità organizzata o con affaristi malavitosi.
Questi complessi rapporti scabrosi fanno perno soprattutto sulle spericolate scorribande del faccendiere Flavio Carboni, e a esse si intrecciano. Berlusconi, tramite il paravento Cominciolì, concede a Carboni cospicui finanziamenti, in cambio dei quali Carboni coinvolge Comincioli cioè Berlusconi in numerose operazioni immobiliari. Pur non disdegnando altre località, l'ambito di manovra prevalente è la costa quasi vergine nel nord della Sardegna, tra Olbia e Porto Rotondo. Carboni, che è sardo, conosce il territorio dell'isola, e agisce secondo uno schema molto semplice: accaparrato un terreno agricolo, si attiva per mutarne la destinazione in terreno edificabile, decuplicandone il valore di mercato; dopodiché: o vende una porzione del terreno e utilizza il ricavato per stipulare il rogito e assicurarsi la proprietà definitiva del rimanente, oppure intesta i terreni a una società appositamente creata e ottiene il medesimo risultato cedendo parte delle quote societarie; in taluni casi, attua insieme l'una e l'altra combinazione.
"La prima operazione", preciserà Carboni, "la feci con Pompeo Locatelli, uno speculatore milanese al quale pagai 1 miliardo e 300 milioni di allora per dei terreni all'interno. Poi mi spostai sulla costa... Nella zona di Porto Rotondo. Poiché il paese era stato monopolizzato da un gruppo di operatori turistici, acquistai un lotto che restava fuori del comprensorio. Lo chiamai Costa delle Ginestre... Fu un affare colossale: 45 ettari per 150 milioni". Carboni acquista il lotto del "colossale affare" dalla famiglia del giornalista Jas Gawronski, e lo intesta alla società Costa delle Ginestre, dopodiché cede quote societarie a Romano Comincioli (cioè a Berlusconi).
Ma il faccendiere Carboni conduce una vita da nababbo, al disopra delle sue effettive possibilità, così è costretto a ricorrere agli usurai romani: "Io sapevo che non erano stinchi di santi ma mi servivano per avere denaro... Costa delle Ginestre è una società te avevo dato a Balducci e a altri usurai per i soliti interessi". In effetti, nella società Costa delle Ginestre sono associati: Flavio Carboni e suo fratello Andrea, soci di maggioranza; Romano Comincioli (cioè Berlusconì), socio di minoranza Domenico Balducci, socio di minoranza e Danilo Abbruciati , socio occulto. Questo assetto societario verrà confermato dal mandato di cattura spiccato il 29 gennaio 1983 dal giudice istruttore Imposimato a arico dei fratelli Carboni e di esponenti della cosiddetta "Banda della Magliana"
Seguendo le orme del prestanome di Berlusconi, troviamo Romano Comincioli coprotagonista di un colossale affare truffaldino, imbastito da Carboni e da Fiorenzo Ravello.
Ravello, classe 1925, cittadino italiano ormai residente in Svizzera (dove si fa chiamare Lay Florent Ravello), comincia come precettore presso illustri famiglie di Venezia, e in seguito diventa amministratore dei loro patrimoni immobiliari. Carboni lo conosce in circostanze singolari: acquistato a Porto Rotondo un appezzamento di proprietà del malavitoso Simplicio Dejana (condannato all'ergastolo per omicidio), Carboni scopre che il terreno era già stato venduto abusivamente da qualcuno che al rogito si era sostituito a Dejana facendolo figurare presente (mentre in realtà era in carcere), e che nel frattempo su quel terreno erano sorte varie costruzioni di Porto Rotondo; Carboni chiede spiegazioni alla società titolare dei nuovi insediamenti, amministrata da Ravello.
"I veri proprietari", racconterà Carboni, "si chiamavano Cmi, Gaggia, Pratolongo, e un famoso banchiere inglese... Ravello impallidi sentendo il motivo della mia visita. Parlammo tre ore. Alla fine mi propose un accordo". Nasce così tra i due un rapporto affaristico che nei fatti consentirà alla mafia di investire nell'edilizia fiumi di capitali sporchi. D'intesa con Carboni Ravello imbastisce in breve tempo un colossale marchingegno di ingegneria societaria.
Il 17 ottobre 1973, Ravello promuove la costituzione a Tempio Pausania (Sassari) della società Punta Volpe spa, alla quale intesta i beni che lui stesso amministra e rappresenta a Porto Rotondo e nel Comune di Olbia; subito dopo, la società Punta Volpe viene trasferita a Trieste, dove contemporaneamente vengono costituite altre dieci nuove società per azioni; nel capoluogo giuliano ha già sede la Immobiliare Sea spa, che prende parte attiva all'operazione. Il 12 dicembre dello stesso anno, la società Punta Volpe si fonde per incorporazione e singolarmente con ognuna delle undici spa; il senso dell'operazione è di suddividere i terreni in frazioni più commerciabili, che divengono così più snelle proprietà di singole società, il tutto in esenzione di oneri fiscali (da qui la scelta di Trieste, che ai tempi godeva di un regime fiscale privilegiato), e facendo ricadere ogni altro onere sulla società Punta Volpe, che così svuotata li elude e anzi viene cancellata dal registro delle società; ma il significato ultimo di tutta l'operazione è che in tal modo Carboni si assicura l'80 per cento (mentre a Ravello va tacitamente il 20 per cento) dei terreni e dei fabbricati delle undici spa. Dai dati catastali emerge che i soli terreni della defunta Punta Volpe sono di oltre 143 ettari; la cessione avviene al prezzo dì 2 miliardi 250 milioni dei quali l'80 per cento di Carboni ammonta a i miliardo e 800 milioni, pagamento dilazionato all'8 per cento di interesse annuo; il faccendiere versa una prima rata di 250 milioni, poi fa fronte alle altre scadenze cedendo a Ravello quote di sue società. Al 31 agosto 1974, secondo un promemoria contabile sequestrato dalla Guardia di Finanza, Carboni è in debito di circa 354 milioni, e ciò porta a una nuova ripartizione delle rispettive quote: i due convengono, sulla parola, che fino all'estinzione del debito, e a garanzia dello stesso Ravello è socio al 50 per cento delle società nelle quali è stato disperso il patrimonio della ex società Punta Volpe.
L'operazione, detta delle "12 sorelle", e definita "un patto a delinquere" nella sentenza 8 febbraio 1986 del Tribunale di Roma contro la malavita romana, interessa qui unicamente per la destinazione finale delle singole società e le relative proprietà immobiliari. Tre di esse transitano per la Generale commerciale di Comincioli e finiscono nella Fininvest di Berlusconi: sono le spa Poderada, Su Ratale, Su Pinnone. In altre due delle truffaldine società, Prato Verde e Immobiliare Sea, Comincioli-Berlusconi è presente direttamente, come sono presenti in ulteriori due, Monte Majore e Punta Lada ma attraverso la fiduciaria Sofint controllata al 50 per cento. In tre delle società subentrano interessi mafiosi e della malavita romana: Iscia Segada e Mediterranea vanno ai siciliani Luigi Faldetta e Lorenzo Di Gesù per conto di Pippo Calò (il "cassiere della mafia"), mentre Sa Tazza passa a Domenico Balducci. Circa qucst'ultima, la sentenza giudiziaria 8 febbraio 1986 appena ricordata evidenzia che Balducci con i terreni della stessa "costituì la cooperativa Delta, la quale, con il gioco della cessione successiva delle quote, sembra veramente avere avuto la funzione di stanza di compensazione delle azioni reciproche dei maggiori usurai romani". Della Delta immobiliare costruzioni sono infatti soci Spurio Oberdan, Aldo Proietti, Cesare Gemelli, Amedeo Mastracca, Pietro Cuccarini [padrc della soubrette Fininvest, Lorella, NdA], e Luciano Merluzzi, usurai, e uomini di Calò come Guido Cércola Luciano Mancini, Franco Di Agostino. Nel marzo 1978, la Delta figurerà tra i clienti "in sofferenza" del Banco Ambrosiano (l'esposizione è di 28 milioni, di cui 14 rubricati come "perdita certa").
Esclusa Punta Volpe, che abbiamo visto ridotta a un guscio vuoto e quindi soppressa, delle "12 sorelle" rimane Iscia Manna, la quale viene ceduta nel 1974 da Carboni al commercialista milanese (amico di Craxi) Pompeo Locatelli. Carboni è infatti in difficoltà: tra l'altro, ha rilevato il pacchetto di controllo di un giornale sardo, "Tuttoquotidiano", che in pochi mesi registra un passivo di circa 500 milioni.
Nel 1975 la situazione economica di Carboni, secondo Emilio Pellicani (segretario di Carboni), si fa "disperata", e se ne preoccupano anche i suoi partner. "Nell'estate a Porto Rotondo", dichiara Pellicani in un suo memoriale alla Procura di Trieste, "Ravello, Locatelli e Balducci avevano tentato un piano di salvataggio per Carboni. Il piano culminerà in un incontro che si terrà verso la fine di settembre all'Hotel Gritti di Venezia... L'incontro, a detta di Carboni, fu piuttosto burrascoso, perché le condizioni risultavano vessatorie e leonine". Fallito l'incontro di Venezia, Carboni è costretto a cercare altri finanziatori, e trovando in Comincioli grandi disponibilità, associa il prestanome di Berlusconi ai propri affari. Nel 1977, i rapporti tra i due divengono strettissimi, poiché Ravello si libera delle sue attività in Italia: infatti, nell'estate è scoppiato lo scandalo Italcasse-Caltagirone (nel quale Ravello è coinvolto quale membro del consiglio di amministrazione della società Flaminia nuova), e il losco affarista decide di ritirarsi definitivamente in Svizzera, liberandosi della propria parte del patrimonio sardo - per intenderci, quello delle "12 sorelle": l'acquirente è Comincioli, cioè Silvio Berlusconi.
Dopo lo scorporo della società Punta Volpe, negli ultimi mesi del 1975 le azioni delle undici società che si sono spartite i suoi beni erano state intestate fiduciariamente alla Sofint (Società finanziaria internazionale), che era dunque divenuta "la cassaforte" del sodalizio Ravello-Carboni. Con il subentro di Comincioli-Berlusconi, Ravello viene liquidato appunto con denaro Generale commerciale-Berlusconi (400 milioni in contanti, e i miliardo e 425 milioni in cambiali). Il contratto, firmato il 9 settembre 1977, cui segue il 4 novembre una convenzione di passaggio di azioni, trasferisce alla società amministrata dal prestanome di Berlusconi Romano Comincioli le spa Poderada (con 2 ettari di terreno a edificabilità di tipo intensivo per 23 mila mc), Su Ratale (a edificabilità intensiva per 99 mila mc), Prato Verde (con edificabilità intensiva per 58.500 mc), Su Pinnone (edifici già esistenti adibiti a uffici, e sede del Consorzio di Porto Rotondo).
Ma l'operazione non si chiude pacificamente. Ravello non ha infatti provveduto a regolare le pendenze fiscali delle società cedute, e ne nasce un pittoresco contenzioso giudiziario - in una "memoria" depositata al tribunale, il prestanome di Berlusconi definisce Ravello "finanziere fasullo" ed evasore con un piede sempre in qualche paradiso fiscale...
Anche tra Carboni e Comincioli-Berlusconi si apre una disputa che approda al Tribunale di Roma. Tra l'aprile e il maggio 1978, Carboni promuove ben sei cause civili contro Comincioli-Berlusconi, la Generale commerciale e la Sofint, sostenendo che nelle operazioni di subentro a Ravello, il berlusconiano Comincioli e la berlusconiana Generale commerciale hanno agito per conto dello stesso Carboni, cioè interponendosi come suoi prestanome avendone in cambio cospicui appezzamenti di terreni edificabili.
L'aspetto ulteriormente singolare di questa sintomatica lite tra un prestanome e un faccendiere in merito ai loro loschi affari, èche Carboni adendo il tribunale contro la Sofint adisce anche contro sé medesimo in quanto comproprietario effettivo della società... E altresì evidente che il contrasto tra i due non può farsi troppo cruento, fino a rischiare di svelare il groviglio di inconfessabili interessi che lega i due affaristi, come ad esempio un giro di cambiali tra la Sofint e le spa Finanziaria regionale veneta, Safiorano e Stella azzurra, società che la sentenza 8 febbraio 1986 del Tribunale di Roma attribuirà alla "famiglia di Joscf Ganci in questi giorni deceduto, imputato di traffico internazionale di stupefacenti e di appartenenza a Cosa Nostra".
Il 9 ottobre 1978 le parti comunicano al Tribunale la composizione della controversia, estinguendo le cause: è infatti intervenuta una risistemazione generale dei rapporti tra Carboni e Comincioli-Berlusconi. Berlusconi paga 3 miliardi e 500 milioni (detratto il miliardo e 825 milioni già versati nel 1977 in contanti e cambiali), e ottiene in cambio la definitiva proprietà delle società Su Ratale, Su Pinnone e Poderada (che troveremo per anni nella Fininvest); Comincioli-Berlusconi viene confermato socio di Carboni nella Prato Verde, che rimane intestata fiduciariamente alla Sofint (con altre società del faccendiere sardo), Sofint che Carboni e Comincioli-Berlusconi controllano paritariamente al 50 per cento.
La Prato Verde spa è per molti aspetti una società "a rischio". Il prestanome di Berlusconi, Comincioli, ne diviene amministratore unico il 30 novembre 1977, e in quella stessa data la sede sociale viene trasferita da Trieste a Milano, presso un commercialista del giro berlusconiano.
L'espediente del "prestanome-paravento" Comincioli si rivela quantomai opportuno per Berlusconi di lì a poco, quando cioè comincia ad avere quali soci nella Prato Verde anche personaggi decisamente pericolosi. Uno di essi è Fausto Annibaldi, già noto alle cronache giudiziarie e nel gruppo di finanziatori-usurai di Carboni; interrogato il 17 luglio 1982 dal procuratore di Perugia Domenico Tontoli Montalto, Annibaldi confermerà: "Sono stato socio della Prato Verde per il 5 per cento [come, sempre per il 5 per cento, lo sono stati Francesco Santi, Bernardino e Italo Drago, nonché tale prof. Valentini, reumatologo, tutti residenti a Roma] dal luglio 1980 all'agosto-settembre 1981" (la gestione Comincioli della Prato Verde è 30 novembre 1977-2 maggio 1981); tra l'altro, nella sentenza 8 febbraio 1986 la compartecipazione di Annibaldi nella Prato Verde verrà definita "penalmente rilevante".
Durante la gestione Comincioli-Berlusconi della Prato Verde, e cioè nel febbraio-marzo 1978, Carboni entra in affari con esponenti di 'Cosa Nostra". Tramite i nialavitosi Balducci e Diotallevi, Carboni concorda con un gruppo di mafiosi l’esecuzione di lavori di risanamento nel centro storico di Siracusa, e ottiene un anticipo di 450 milioni; ma l'iniziativa sfurna per J'opposizione della Regio ne Sicilia, e a quel punto i committenti siciliani (Luigi Faldetta, Lorenzo Di Gesù, Gaetano Sansone, Antonio Rotolo, e un certo "Mario" che si scoprirà essere il 'cassiere della mafia" Pippo Calò) pretendono la restituzione dei 450 milioni anticipati, e 250 milioni di interessi. Carboni salda il debito attraverso cambiali per 700 milioni emesse dalla società Elbis di Milano in favore di Romano Comincioli e da questi "girate". Nella Elbis srI (società costituita il 12 novembre 1969 dal messinese Antonino Franciò e da alcuni prestanome di Berlusconi) Carboni è entrato da poco apportando 138 milioni, e dunque BerlusconiComincioli non possono rifiutare "un favore" al consocio...
Il pieno e diretto coinvolgimento di Romano Comincioli, e dunque di Berlusconi, nelle iniziative di Flavio Carboni è tutt'altro che episodico. Insieme, il prestanome di Berlusconi e il faccendiere sardo combinano affari con Ravelio, con Calò, e con altri mafiosi (Sardegna, Siracusa) e anche con un altro protagonista delle cronache giudiziarie, Francesco Pazienza (Prato Verde). Lo spregiudicato faccendiere sardo offre al rappresentante di Berlusconi gioielli ricettati, e il rappresentante di Berlusconi firma assegni destinati a malavitosi, e intrattiene dunque rapporti con la malavita romana. Se la famigerata Banda della Magliana può "lavare" i proventi della droga, delle rapine e dei sequestri di persona, riciclandolì nell'acquisto di terreni, società, costruzioni, cio e anche grazie alle "attività" di Flavio Carboni, alle quali il berlusconiano Comincioli fornisce un decisivo contributo.
Le cambiali sottoscritte dalla Elbis con la "girata" del prestanome dì Berlusconi, Comincioli. vengono consegnate nelle mani di Diotallevi, il quale prowede a recapitarle a Pippo Calò. Costretto poi a una lunga latitanza, Diotallevi verrà catturato a Roma alla fine del 1988.Con la rinuncia "per motivi personali", nel maggio l981, alla carica di amministratore, il prestanonie di Berlusconi, Comincioli, non esce dalla Prato Verde' vi rimane infatti quale socio, e ne mantiene il controllo col suo 50 per cento della Sofint alla quale la Prato Verde fa capo fiduciariamente. Anzi, Comincioli-Berlusconi consente alla Prato Verde di accedere al credito bancario fornendo garanzie e effetti cambiari della Generale commerciale.
A memoria di Pellicani, il plunprotestato e chiacchieratissimo Carboni non era mai riuscito a ottenere fidi bancari: vi riesce per la prima volta nel 1980 grazie a Berlusconi, quando la Banca del Cimino accorda alla Prato Verde uno scoperto di conto corrente fino a 200 milioni; la linea di credito viene riconfermata nel 1981, quando anche il Banco di Santo Spirito accetta di scontare alla Prato Verde effetti rilasciati da Comincioli e da società del gruppo Berlusconi. Ascoltato il 24 febbraio 1983 dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, Pellicani conferma queste operazioni e ne chiarisce meglio la meccanica: "Carboni ottiene i finanziamenti attraverso effetti di società di Comincioli. E uno sconto che ottiene perché, d'accordo con Comincioli stipula dei contratti fasulli nei quali dice di vendere una parte di azioni...". (Carboni, nel settembre 1986 rimedierà l'ennesima condanna per emissione di assegni a vuoto per 775 milioni - nove mesi di carcere).
Nel novembre di quello stesso 1981, la società Prato Verde ottiene finanziamenti ben più cospicui dal piduista Banco Ambrosiano grazie all'interessamento di Francesco Pazienza. Già in estate, Pazienza aveva propiziato un incontro tra il presidente del-l'Ambrosiano Roberto Calvi e Carboni durante una gita in barca lungo le coste sarde, e aveva poi indotto Carboni a chiedere un mutuo garantendogli un esito positivo: il presidente dell'Ambrosiano - gli aveva spiegato - ha necessità di denaro ma non vuole attingere personalmente al suo istituto, bensì attraverso terzi. In effetti, Calvi caldeggia l'operazione di mutuo a favore della Prato Verde; chi invece la osteggia è il suo vice, Roberto Rosone, il quale la ritiene un'operazione rischiosa e anomala - proprio per questa sua intransigenza, Rosone subirà un attentato: "Negai un fido e mi spararono", dirà poi al processo contro Carboni e Diotallevi (condannati a 10 anni di reclusione quali mandanti del killer Abbruciati che nell'attentato ferisce Rosone ma viene ucciso da una guardia giurata).Fatto è che, per ordine di Calvi, il 19 novembre 1981 la sede Fomana del Banco Ambrosiano dispone l'erogazione alla Prato Verde di un primo acconto di 600 milioni, e in più riprese successive il finanziamento arriva a complessivi 6,6 miliardi. Ditale somma, i miliardo e 200 milioni sarebbero finiti a Calvi, 136 vanno a Pazienza per la mediazione, i miliardo e 500 milioni a Fausto Annibaldi quale rimborso prestiti, e il resto si disperde in mille rivoli. Pazienza, Annibaldi, Carboni e altri saranno rinviati a giudizio per concorso in bancarotta fraudolenta aggravata del Banco Ambrosiano.
Il finanziamento del Banco Ambrosiano alla Prato Verde è stato garantito dalla Sofint e da tutta una serie di società che a essa fanno capo; ciò presuppone dunque esservi stato l'assenso del prestanome di Berlusconi, Comincioli. Ma la stessa situazione economica della Sofint è difficile - Piero Citti, dipendente della società, il 7 dicembre 1982 dichiarerà al giudice istruttore Drigani del Tribunale di Trieste: "La Sofint versava in cattive acque... fra l'altro non si erano presentati i bilanci per mancanza di liquidità. Si paventava la messa in liquidazione". E tuttavia, il sodalizio tra Carboni e Berlusconi prosegue. Comincioli e Maria Luisa Bosco (della Generale commerciale) telefonano più volte al giorno presso la sede romana della Sofint, dove pervengono anche chiamate di Fedele Confalonieri (numero due della Fininvest), inentre hanno luogo summit societari tra Carboni e i prestanome di Berlusconi, e incontri in Sardegna.
Tutto precipita il 12 giugno 1982, quando Carboni si dilegua per accompagnare il banchiere piduista Roberto Calvi verso il suo tragico destino, dopo avergli procurato un passaporto falso tramite Diotallevi: sei giorni dopo, il presidente dell'Ambrosiano viene ritrovato a Londra, impiccato sotto il ponte dei Frati neri. Quarantatré giorni dopo il rinvenimento del cadavere del banchiere a Londra, il 30 luglio 1982 Carboni viene arrestato a Lugano, e quindi estradato in Italia.
Quando Carboni e il suo braccio destro Emilio Pellicani verranno arrestati, si avrà l'irreversibile crisi della Prato Verde e della Sofint. Il 9 maggio 1984, il giudice Ragonesi (della sezione fallimentare del Tribunale di Roma) dichiara il fallimento della Prato Verde, mentre il ministero deil'Industna, il 7 luglio l986, revocherà alla Sofìnt l'autorizzazione a esercitare l’attività fiduciaria, e il 6 febbraio 1987 ne decreterà la messa in liquidazione coatta amministrativa.
Si arriva così alla sentenza più voite citata dopo un processo presso il Tribunale di Roma con imputati, tra gli altri, Ernesto Diotallevi, Flavio Carboni, Giuseppe Calò, Danilo Sbarra, Lorenzo Di Gesù, accusati di avere investito in società varie e in beni immobiliari denaro e valori provenienti da rapine, estorsioni, sequestri di persona. A causa dei limiti posti dalle autorità svizzere nell'accordare l'estradizione (di questa comoda "scappatoia" si avvarrà anche il Venerabile maestro Licio Gelli), Carboni non ha potuto essere processato per associazione a delinquere; risponde soltanto di concorso nell'attentato a Rosone, e anche, con Fausto Annibaldi e Romano Comincioli della ricettazione di un brillante rubato del valore dii miliardo di lire. L'8 febbraio 1986 la sentenza: Calò 6 anni dì reclusione, Diotallevi 5, Di Gesù 1 anno e 6 mesi, Sbarra 3 anni e 6 mesi. Carboni e Comincioli vengono assolti. L'attentato a Rosone viene stralciato, e Carboni viene rinviato a giudizio in un diverso processo. In secondo grado, l'11 marzo 1987 la Corte d'Appello di Roma confermerà la pena a Diotallevi e Di Gesù (Calò non si era appellato).
Nel frattempo (il 25 luglio 1983), il prestanome di Berlusconi, Romano Comincioli, pone in liquidazione la Generale commerciale. Nei suoi confronti pendono un processo penale a Roma (quello sopra menzionato) e un procedimento istruttorio a Milano: è dunque opportuno non richiamare l'attenzione anche sulla Generale commerciale, ed è necessano farla uscire tempestivamente di scena.
Il procedimento che coinvolge Comincioli, aperto presso il Tribunale di Milano, concerne il fallimento del Banco Ambrosiano, e vede imputati, tra gli altri, i vertici della Loggia P2 Licio Gelli e Umberto Ortolani, e Francesco Pazienza, Flavio Carboni, Fausto Annibaldi, Gennaro Cassella, e insomma tutti coloro che in vario modo hanno concorso alla bancarotta fraudolenta aggravata dell'istituto di credito presieduto da Roberto Calvi. Carboni, Pazienza e Annibaldi vi sono coinvolti per i 6,6 miliardi erogati alla Prato Verde e finiti in parte nelle loro tasche - ma nella Prato Verde vi erano anche interessi della Generale commerciale e dei suoi amministratori berlusconiani Romano Comincioli e Maria Luisa Bosco: da indiscrezioni trapelate durante la lunga fase istruttoria (durata 6 anni), sembrava che vi fossero implicati anch'essi, ma nell'ordinanza di rinvio a giudizio firmata dai giudici istruttori Antonio Pizzi e Renato Bricchetti i due prestanome di Berlusconi non figureranno tra gli imputati.
Non vi è dubbio che una delle chiavi di lettura del fallimento del Banco Ambrosiano si trovi nella società Prato Verde. I fascicoli e le carte della società, sequestrati già nel 1982 dagli inquircilti romani, sono trasmigrati da un giudice all'altro, da un ufficio al l'altro, e ora giacciono presso la sezione istruzione del Tribunale di Milano. Dell'operato di una società non ripondono i soci bensì solo gli amministratori: al momento del crack, amministratorc unico della Prato Verde e della Sofint è il prestanome Gennaro Cassella (che infatti, nel l992 verrà condannato dal Tribunale di Milano a 5 anni di reclusione).
Il sostituto procuratore di Milano Pier Luigi Dell'Osso, che si occupa della Prato Verde e del ruolo di Carboni rispetto al Banco Ambrosiano, il 27 agosto 1982 interroga Silvio Berlusconi. Per l'occasione, la Fininvest diffonde un comunicato nel quale si afferma che "nessun rapporto societario intercorre tra le società del gruppo e il signor Flavio Carboni. Il signor Carboni ha svolto invece una propria autonoma attività di intermediazione come fiduciario di proprietari di terreni interessanti un progetto edilizio del Comune di Olbia attualmente all'esame di una società del gruppo" - una "smentita" così impudente e sibillina da non smentire nulla...
TRATTO DA www.mondodisotto.it/berluska/6unpattoadelinquere.htm
Nessun commento:
Posta un commento