(…) indicazioni specifiche di un intreccio di interessi criminali tra la banda della Magliana,
ambienti della criminalità economica e politica e Cosa Nostra sono emerse nell’ambito delle
indagini concernenti un altro delitto "sporco"- il tentato omicidio di Roberto Rosone, vice
presidente del Banco Ambrosiano (presidente Roberto Calvi) , commesso a Milano il 27.4.1982.
Nell'ambito delle indagini, elementi di grande interesse sono stati forniti dalla teste Gabriella Popper, moglie di Gianmario Matteoni, nella deposizione resa il 16.6.1986 al G.I. di Milano.
Gabriella Popper al G.L di Milano (Fot. 748246-748251):
“Sono la moglie separata di Matteoni Gianmario che attualmente gestisce un'agenzia di assicurazioni in v.le Mazzini n. 14 di Roma e che abita in via Rodriguez Pereira n. 114 - Roma.
Mio marito conosce, anzi conosceva, Abbruciati Danilo da circa 20 anni; ha conosciuto Diotallevi Ernesto in carcere a Roma, ritengo nel 1965, allorché entrambi erano detenuti, sia pure in due procedimenti distinti. Ritengo che mio marito abbia conosciuto Flavio Carboni nel1970. So che ha conosciuto Pippo Calò, ma non so collocare l'inizio di questa conoscenza. Ha conosciuto Bruno Nieddu nel 1981. Mi risulta che mio marito è andato delle volte con Abbruciati e Nieddu, il quale faceva parte della manovalanza di Abbruciati.
Verso la fine del 1981 mio marito è entrato in società con Abbruciati Danilo nella gestionedell'autosalone sito in Circonvallazione Trionfale di Roma, tale autosalone si chiamava "Centrauto Prati". Ricordo, a tal proposito, che il giorno di Santo Stefano del 1981 Abbruciati ha portato a casa mia, a mio marito, i soldi di questa società, ricordo che gli ha dato più di 90 milioni in contanti, contenuti in una busta di plastica; ricordo che in tale data Abbruciati era ricercato. Io personalmente ho conosciuto Abbruciati prima che lo conoscesse mio marito,
ritengo nel 1960, ero una ragazzina. Mio marito si sentiva protetto da Diotallevi ed è stato sempre a "filo diretto" con lui, cioè non ha mai troncato i rapporti col Diotallevi.
Sia mio marito che Diotallevi avevano paura di Abbruciati perché era uno deciso e non perdonava gli sgarbi. Mio marito, mentre con Diotallevi non ha mai avuto periodi di freddezza,con Abbruciati per un lungo periodo non ha avuto rapporti perché avevano litigato; mio marito aveva intascato la somma offerta dall'assicurazione come risarcimento del danno di un furto diun'autovettura di Abbruciati, falsificando la firma della madre di Abbruciati perché l'auto era intestata alla madre.
Quando, nell'aprile 1982, si è verificato l'attentato a Roberto Rosone,
vicepresidente del Banco Ambrosiano, mio marito è stato più volte chiamato dal G.I. di Roma dr.Imposimato, perché da un albergo di Milano risultava che Abbruciati aveva telefonato a mio marito il quale mi ha raccontato che aveva testimoniato davanti al dr. Imposimato, dicendo che Abbruciati gli aveva telefonato per una questione di macchine.
Invece io posso testimoniare che, qualche giorno prima dell'attentato, per la precisione una settimana prima, mi trovavo in ufficio con mio marito presso l'autosalone, in tale ufficio vi sono due telefoni e mio marito parlava con
Abbruciati con un telefono e con Diotallevi con l'altro. Ricordo che Abbruciati gli comunicava che "il dottore non c'era che bisognava rinviare". Mio marito ripeteva queste frasi a Diotallevi nell’altro telefono. Io chiesi a mio marito: "Ma che cos'è la storia di questo dottore?" e lui ridendo mi ha detto che si trattava di uno scherzo.
Mio marito è stato arrestato dal G.I. Imposimato nel gennaio 1983 e dopo tre mesi di custodia cautelare è stato messo agli arresti domiciliari prima a casa e poi negli uffici di via Mazzini.
Tornato a casa, mio marito mi ha confidato quanto sto per verbalizzare. Pippo Calò e Flavio Carboni avevano dato incarico a lui e a Diotallevi, dietro compenso di 200 milioni, promettendo tale cifra di attentare alla vita di Roberto Rosone, vice presidente del Banco Ambrosiano perché era uno che “rompeva le scatole”. Sia mio marito che Diotallevi pensarono di affidare l'incarico dell’esecuzione materiale ad Abbruciati Danilo, dicendogli che "ci doveva andare personalmente
in quanto si fidavano solo di lui e che doveva sparare e andarsene". Mio marito desiderava partecipare alla esecuzione materiale dell'attentato, guidando la moto, ma Diotallevi non accettò perché sapeva bene che mio marito guida molto bene l’auto e non sa guidare la moto, però in quel periodo voleva rientrare nell'ambiente e voleva compiere questa azione per riacquistare prestigio. L’attentato doveva aver luogo la mattina presto, mio marito consegnò ad Abbruciati il numero di telefono di Diotallevi il giorno prima dell'attentato; Abbruciati avrebbe dovuto telefonare a tale numero subito dopo l'attentato per dire che tutto era andato bene”
Domanda: ma Abbruciati non aveva il numero di Diotallevi?
Risposta: “Diotallevi non dava ad alcuno il suo numero di telefono. La scelta di Nieddu Bruno, come guidatore della moto, non so come sia avvenuta, mio marito mi ha detto che era stato scelto perchè guidava molto bene la moto e aveva bisogno di soldi. Io avevo sentito parlare per la prima volta di Nieddu Bruno nel luglio 1981 allorché mi trovavo presso la villa di Diotallevi a Fregene.
Ero stata operata nell'aprile dello stesso anno di ernia al disco ed avevo avuto difficoltà per l’anestesia; Piangendo di questi miei guai, il Diotallevi disse che lui aveva un amico, Nieddu Bruno, il quale aveva una figlia handicappata e rovinata da una anestesia sbagliata e che quel poveraccio aveva bisogno di tanti soldi per poter curare questa figlia, in poche parole stavamo criticando i medici.
Tornando all'attentato Rosone, mio marito mi ha detto che Nieddu era venuto a Milano 2 o 3 volte prima del giorno in cui si è venficato l’attentato, che disponevano a Milano di un'altra persona, di cui però non mi ha dato particolari.
Dopo l'attentato, Nieddu è tornato a Roma e cercava mio marito e Diotallevi per avere un aiuto economico, sia per quanto aveva fatto e sia per potersi nascondere. Mio marito mi ha detto che i 200 milioni promessi non sono stati pagati, che la moto adoperata da Nieddu per l'attentato è stata fatta sparire”
Domanda: Lei ha dichiarato che l'incarico è stato dato da Pippo Calò e da Carboni: può direqualche cosa in più sulla partecipazione di Pippo Calò?
Risposta: “Sia mio marito che Diotallevi prestavano i soldi a Carboni ed entrambi erano in rapporti con Pippo Calò il quale ha fatto da padrino al primo figlio maschio di Diotallevi. Tenga presente che nel 1972 Guido Cercola, Franco D'Agostino, mio marito, Ernesto Diotallevi, un vice Questore o un vice Commissario di cui non ricordo il nome, hanno aperto un ristorante a Roma in cui ospite d'onore era Pippo Calò nella serata di inaugurazione. Pippo Calò mi risultache ogni qual volta c'è traffico di armi di droga interviene, prendendo parte attiva con la sua organizzazione. Io non so perché, unitamente a Carboni, abbia organizzato l'attentato a Rosone, quello che posso dire è che mio marito, mi ha fatto il nome di Pippo Calò”.
Domanda: Lei è venuta a conoscenza di quanto sopra verbalizzato relativamente all'attentato a Roberto Rosone nei primi mesi del 1983; come mai ha rivelato tali fatti soltanto il 10.1.1986, allorché è stata sentita come teste dal G.I. dr. Viglietta di Roma?
Risposta:
“Io, spontaneamente, mi sono recata prima dal giudice Imposimato di Roma, al qualeho riferito oralmente quanto poi detto al dr. Viglietta; il giudice Imposimato mi disse che lui, per motivi di opportunità, essendogli stato ammazzato il fratello, preferiva che le mie dichiarazioni venissero verbalizzate da altro Giudice Istruttore, ecco perché, spontaneamente, mi presentai al G.I. dr. Viglietta. Il motivo per il quale mi sono decisa a rivelare quanto a mia conoscenza soltanto dopo circa 3 anni è perché mio marito mi era scaduto come uomo, mi aveva messo i figli contro, facendomi proposte anche di partecipare ad orge con altre donne. Con questo non intendo dire che io mi sono decisa a rivelare quanto sopra verbalizzato per ripicca nei confronti di mio marito, ma perché, mentre prima lo accettavo come dedito ad attività criminose, pur non condividendo il suo sistema di vita, oggi, per il suo comportamento nei suoi (miei) confronti, non mi sento più di proteggerlo.
Tenga presente che sono stata anche minacciata da uno sconosciuto, il quale mi ha detto che non dovevo deporre sull'attentato Rosone: su tale episodio ho già riferito dettagliatamente al dr. Viglietta”.
Tali dichiarazioni sono state integralmente confermate nell'ambito del presente procedimento.Gabriella Popper al G.I. di Palermo il 21.5.1987 (Fot 756631-756632):“Confermo tutte le dichiarazioni rese al G.I. di Milano dott. Mazziotti dopo averne ricevutolettura (Vol. 787, f. 180 e segg.). In ordine a Pippo Calò non ho altre notizie da riferire oltrequelle già dette. Confermo, comunque, i suoi stretti legami con il terrorismo di destra”.
A.D.R.: “Per quanto ho riferito alla Giustizia ho subito tre episodi di intimidazione. L'ultimo è avvenuto alla vigilia del Natale 1986; tornando a casa ho incontrato dinanzi al portone quattro individui dei quali uno parlava con marcato accento siciliano. Fu questo a dirmi di non parlare sul caso Rosone o meglio mi invitarono a ritrattare quanto da me già dichiarato”.
Nell'ambito del procedimento istruito dall'Autorità giudiziaria di Milano, con ordinanza del22.12.1987 è stato disposto il rinvio a giudizio di Ernesto Diotallevi e Flavio Carboni, mentre è stata archiviata la posizione degli indiziati Pippo Calò e Gianmario Matteoni.
La pronunzia di archiviazione, tuttavia, è stata determinata unicamente dalla considerazione che i due erano indicati come partecipi del crimine soltanto da una dichiarazione de relato, non integrata da nessun altro elemento idoneo a collegarli all'attentato.
È stata, comunque, sottolineata la attendibilità intrinseca della Popper, le cui dichiarazioni, secondo la pur cauta valutazione del Giudice Istruttore di Milano, “sono apparse coerenti,collegate almeno ad un riscontro [le telefonate tra l'Abbruciati e il Matteoni. NDR), giustificate sicuramente da un momento di contrarietà con il marito Gianmario Matteoni, ma ribadite con
lucidità”.
Qui, ovviamente, non è in discussione l'ipotesi di responsabilità formulata a carico di Pippo Calò per l'attentato al vice presidente del Banco Ambrosiano, e valutata, nei sensi riferiti, dal giudicecompetente.
Ai fini delle valutazioni da compiersi nel presente procedimento rilevano, infatti, non già le dichiarazioni de relato sulle specifiche confidenze del Matteoni relative al tentato omicidio di Roberto Rosone, bensì quelle con le quali la Popper ha riferito fatti che le risultavano personalmente: in particolare, gli stretti rapporti, attinenti ad affari illeciti, intercorsi tra Pippo Calò ed esponenti della banda della Magliana (Diotallevi, Abbruciati) già legati da numerosi contatti con esponenti della destra eversiva romana.
In questi termini, peraltro, le dichiarazioni della Popper sono totalmente riscontrate da ben piùconsistenti fonti di prova. [...]
Fonte: dalla requisitoria del Pm, marzo 1991 (Istruttoria dell'Autorità giudiziaria di Palermo sui "delitti eccellenti")
www.misteriditalia.it/banda-magliana/OKBandadellaMagliana(attentatoaRosone).pdf -
ambienti della criminalità economica e politica e Cosa Nostra sono emerse nell’ambito delle
indagini concernenti un altro delitto "sporco"- il tentato omicidio di Roberto Rosone, vice
presidente del Banco Ambrosiano (presidente Roberto Calvi) , commesso a Milano il 27.4.1982.
Di tale reato - eseguito materialmente da Danilo Abbruciati che perse la vita in un successivo
conflitto a fuoco, e da Bruno Nieddu - sono stati imputati Ernesto Diotallevi e Flavio Carboni, e indiziati Giuseppe Calò e tale Gianmario Matteoni.
Più precisamente - secondo la ricostruzione accusatoria (esposta nella ordinanza del G.I. diMilano del 22.12.87, conclusiva della tase istruttoria del relativo procedimento) - il Diotallevi, esponente di spicco della banda della Magliana, avrebbe svolto il ruolo di tramite tra i mandanti (il noto "faccendiere" Flavio Carboni e il boss mafioso Pippo Calò) e gli esecutori (Danilo Abbruciati, scelto dal Diotallevi, e il Nieddu, scelto dall'Abbruciati al posto del Matteoni che si era offerto, ma non era stato ritenuto idoneo).conflitto a fuoco, e da Bruno Nieddu - sono stati imputati Ernesto Diotallevi e Flavio Carboni, e indiziati Giuseppe Calò e tale Gianmario Matteoni.
Nell'ambito delle indagini, elementi di grande interesse sono stati forniti dalla teste Gabriella Popper, moglie di Gianmario Matteoni, nella deposizione resa il 16.6.1986 al G.I. di Milano.
Gabriella Popper al G.L di Milano (Fot. 748246-748251):
“Sono la moglie separata di Matteoni Gianmario che attualmente gestisce un'agenzia di assicurazioni in v.le Mazzini n. 14 di Roma e che abita in via Rodriguez Pereira n. 114 - Roma.
Mio marito conosce, anzi conosceva, Abbruciati Danilo da circa 20 anni; ha conosciuto Diotallevi Ernesto in carcere a Roma, ritengo nel 1965, allorché entrambi erano detenuti, sia pure in due procedimenti distinti. Ritengo che mio marito abbia conosciuto Flavio Carboni nel1970. So che ha conosciuto Pippo Calò, ma non so collocare l'inizio di questa conoscenza. Ha conosciuto Bruno Nieddu nel 1981. Mi risulta che mio marito è andato delle volte con Abbruciati e Nieddu, il quale faceva parte della manovalanza di Abbruciati.
Verso la fine del 1981 mio marito è entrato in società con Abbruciati Danilo nella gestionedell'autosalone sito in Circonvallazione Trionfale di Roma, tale autosalone si chiamava "Centrauto Prati". Ricordo, a tal proposito, che il giorno di Santo Stefano del 1981 Abbruciati ha portato a casa mia, a mio marito, i soldi di questa società, ricordo che gli ha dato più di 90 milioni in contanti, contenuti in una busta di plastica; ricordo che in tale data Abbruciati era ricercato. Io personalmente ho conosciuto Abbruciati prima che lo conoscesse mio marito,
ritengo nel 1960, ero una ragazzina. Mio marito si sentiva protetto da Diotallevi ed è stato sempre a "filo diretto" con lui, cioè non ha mai troncato i rapporti col Diotallevi.
Sia mio marito che Diotallevi avevano paura di Abbruciati perché era uno deciso e non perdonava gli sgarbi. Mio marito, mentre con Diotallevi non ha mai avuto periodi di freddezza,con Abbruciati per un lungo periodo non ha avuto rapporti perché avevano litigato; mio marito aveva intascato la somma offerta dall'assicurazione come risarcimento del danno di un furto diun'autovettura di Abbruciati, falsificando la firma della madre di Abbruciati perché l'auto era intestata alla madre.
Quando, nell'aprile 1982, si è verificato l'attentato a Roberto Rosone,
vicepresidente del Banco Ambrosiano, mio marito è stato più volte chiamato dal G.I. di Roma dr.Imposimato, perché da un albergo di Milano risultava che Abbruciati aveva telefonato a mio marito il quale mi ha raccontato che aveva testimoniato davanti al dr. Imposimato, dicendo che Abbruciati gli aveva telefonato per una questione di macchine.
Invece io posso testimoniare che, qualche giorno prima dell'attentato, per la precisione una settimana prima, mi trovavo in ufficio con mio marito presso l'autosalone, in tale ufficio vi sono due telefoni e mio marito parlava con
Abbruciati con un telefono e con Diotallevi con l'altro. Ricordo che Abbruciati gli comunicava che "il dottore non c'era che bisognava rinviare". Mio marito ripeteva queste frasi a Diotallevi nell’altro telefono. Io chiesi a mio marito: "Ma che cos'è la storia di questo dottore?" e lui ridendo mi ha detto che si trattava di uno scherzo.
Mio marito è stato arrestato dal G.I. Imposimato nel gennaio 1983 e dopo tre mesi di custodia cautelare è stato messo agli arresti domiciliari prima a casa e poi negli uffici di via Mazzini.
Tornato a casa, mio marito mi ha confidato quanto sto per verbalizzare. Pippo Calò e Flavio Carboni avevano dato incarico a lui e a Diotallevi, dietro compenso di 200 milioni, promettendo tale cifra di attentare alla vita di Roberto Rosone, vice presidente del Banco Ambrosiano perché era uno che “rompeva le scatole”. Sia mio marito che Diotallevi pensarono di affidare l'incarico dell’esecuzione materiale ad Abbruciati Danilo, dicendogli che "ci doveva andare personalmente
in quanto si fidavano solo di lui e che doveva sparare e andarsene". Mio marito desiderava partecipare alla esecuzione materiale dell'attentato, guidando la moto, ma Diotallevi non accettò perché sapeva bene che mio marito guida molto bene l’auto e non sa guidare la moto, però in quel periodo voleva rientrare nell'ambiente e voleva compiere questa azione per riacquistare prestigio. L’attentato doveva aver luogo la mattina presto, mio marito consegnò ad Abbruciati il numero di telefono di Diotallevi il giorno prima dell'attentato; Abbruciati avrebbe dovuto telefonare a tale numero subito dopo l'attentato per dire che tutto era andato bene”
Domanda: ma Abbruciati non aveva il numero di Diotallevi?
Risposta: “Diotallevi non dava ad alcuno il suo numero di telefono. La scelta di Nieddu Bruno, come guidatore della moto, non so come sia avvenuta, mio marito mi ha detto che era stato scelto perchè guidava molto bene la moto e aveva bisogno di soldi. Io avevo sentito parlare per la prima volta di Nieddu Bruno nel luglio 1981 allorché mi trovavo presso la villa di Diotallevi a Fregene.
Ero stata operata nell'aprile dello stesso anno di ernia al disco ed avevo avuto difficoltà per l’anestesia; Piangendo di questi miei guai, il Diotallevi disse che lui aveva un amico, Nieddu Bruno, il quale aveva una figlia handicappata e rovinata da una anestesia sbagliata e che quel poveraccio aveva bisogno di tanti soldi per poter curare questa figlia, in poche parole stavamo criticando i medici.
Tornando all'attentato Rosone, mio marito mi ha detto che Nieddu era venuto a Milano 2 o 3 volte prima del giorno in cui si è venficato l’attentato, che disponevano a Milano di un'altra persona, di cui però non mi ha dato particolari.
Dopo l'attentato, Nieddu è tornato a Roma e cercava mio marito e Diotallevi per avere un aiuto economico, sia per quanto aveva fatto e sia per potersi nascondere. Mio marito mi ha detto che i 200 milioni promessi non sono stati pagati, che la moto adoperata da Nieddu per l'attentato è stata fatta sparire”
Domanda: Lei ha dichiarato che l'incarico è stato dato da Pippo Calò e da Carboni: può direqualche cosa in più sulla partecipazione di Pippo Calò?
Risposta: “Sia mio marito che Diotallevi prestavano i soldi a Carboni ed entrambi erano in rapporti con Pippo Calò il quale ha fatto da padrino al primo figlio maschio di Diotallevi. Tenga presente che nel 1972 Guido Cercola, Franco D'Agostino, mio marito, Ernesto Diotallevi, un vice Questore o un vice Commissario di cui non ricordo il nome, hanno aperto un ristorante a Roma in cui ospite d'onore era Pippo Calò nella serata di inaugurazione. Pippo Calò mi risultache ogni qual volta c'è traffico di armi di droga interviene, prendendo parte attiva con la sua organizzazione. Io non so perché, unitamente a Carboni, abbia organizzato l'attentato a Rosone, quello che posso dire è che mio marito, mi ha fatto il nome di Pippo Calò”.
A.D.R. “I rapporti tra Abbruciati e mio marito, dopo quel periodo di freddezza, sono ripresi nell'ottobre-novembre 1981, a seguito della mediazione di Diotallevi che li ha fatti riappacificare”.
Domanda: Lei è venuta a conoscenza di quanto sopra verbalizzato relativamente all'attentato a Roberto Rosone nei primi mesi del 1983; come mai ha rivelato tali fatti soltanto il 10.1.1986, allorché è stata sentita come teste dal G.I. dr. Viglietta di Roma?
Risposta:
“Io, spontaneamente, mi sono recata prima dal giudice Imposimato di Roma, al qualeho riferito oralmente quanto poi detto al dr. Viglietta; il giudice Imposimato mi disse che lui, per motivi di opportunità, essendogli stato ammazzato il fratello, preferiva che le mie dichiarazioni venissero verbalizzate da altro Giudice Istruttore, ecco perché, spontaneamente, mi presentai al G.I. dr. Viglietta. Il motivo per il quale mi sono decisa a rivelare quanto a mia conoscenza soltanto dopo circa 3 anni è perché mio marito mi era scaduto come uomo, mi aveva messo i figli contro, facendomi proposte anche di partecipare ad orge con altre donne. Con questo non intendo dire che io mi sono decisa a rivelare quanto sopra verbalizzato per ripicca nei confronti di mio marito, ma perché, mentre prima lo accettavo come dedito ad attività criminose, pur non condividendo il suo sistema di vita, oggi, per il suo comportamento nei suoi (miei) confronti, non mi sento più di proteggerlo.
Tenga presente che sono stata anche minacciata da uno sconosciuto, il quale mi ha detto che non dovevo deporre sull'attentato Rosone: su tale episodio ho già riferito dettagliatamente al dr. Viglietta”.
Tali dichiarazioni sono state integralmente confermate nell'ambito del presente procedimento.Gabriella Popper al G.I. di Palermo il 21.5.1987 (Fot 756631-756632):“Confermo tutte le dichiarazioni rese al G.I. di Milano dott. Mazziotti dopo averne ricevutolettura (Vol. 787, f. 180 e segg.). In ordine a Pippo Calò non ho altre notizie da riferire oltrequelle già dette. Confermo, comunque, i suoi stretti legami con il terrorismo di destra”.
A.D.R.: “Per quanto ho riferito alla Giustizia ho subito tre episodi di intimidazione. L'ultimo è avvenuto alla vigilia del Natale 1986; tornando a casa ho incontrato dinanzi al portone quattro individui dei quali uno parlava con marcato accento siciliano. Fu questo a dirmi di non parlare sul caso Rosone o meglio mi invitarono a ritrattare quanto da me già dichiarato”.
Nell'ambito del procedimento istruito dall'Autorità giudiziaria di Milano, con ordinanza del22.12.1987 è stato disposto il rinvio a giudizio di Ernesto Diotallevi e Flavio Carboni, mentre è stata archiviata la posizione degli indiziati Pippo Calò e Gianmario Matteoni.
La pronunzia di archiviazione, tuttavia, è stata determinata unicamente dalla considerazione che i due erano indicati come partecipi del crimine soltanto da una dichiarazione de relato, non integrata da nessun altro elemento idoneo a collegarli all'attentato.
È stata, comunque, sottolineata la attendibilità intrinseca della Popper, le cui dichiarazioni, secondo la pur cauta valutazione del Giudice Istruttore di Milano, “sono apparse coerenti,collegate almeno ad un riscontro [le telefonate tra l'Abbruciati e il Matteoni. NDR), giustificate sicuramente da un momento di contrarietà con il marito Gianmario Matteoni, ma ribadite con
lucidità”.
Qui, ovviamente, non è in discussione l'ipotesi di responsabilità formulata a carico di Pippo Calò per l'attentato al vice presidente del Banco Ambrosiano, e valutata, nei sensi riferiti, dal giudicecompetente.
Ai fini delle valutazioni da compiersi nel presente procedimento rilevano, infatti, non già le dichiarazioni de relato sulle specifiche confidenze del Matteoni relative al tentato omicidio di Roberto Rosone, bensì quelle con le quali la Popper ha riferito fatti che le risultavano personalmente: in particolare, gli stretti rapporti, attinenti ad affari illeciti, intercorsi tra Pippo Calò ed esponenti della banda della Magliana (Diotallevi, Abbruciati) già legati da numerosi contatti con esponenti della destra eversiva romana.
In questi termini, peraltro, le dichiarazioni della Popper sono totalmente riscontrate da ben piùconsistenti fonti di prova. [...]
Fonte: dalla requisitoria del Pm, marzo 1991 (Istruttoria dell'Autorità giudiziaria di Palermo sui "delitti eccellenti")
www.misteriditalia.it/banda-magliana/
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