27 nov 2006

La domanda nasce spontanea.....

come mai la maggior parte dei componenti della Banda della Magliana e chi gli ruotava intorno sono tutti morti ammazzati? Da chi? Il mandante di questi omicidi chi era? C'è qualcuno che sa rispondere a questa domanda? Tutto sembra essere ben orchestrato, in una banda chi vuole emergere rispetto agli altri viene ucciso........ma a chi faceva comodo? Alla fine chi ne ha guadagnato?
Si è parlato di politici, di finanzieri, di massoni, di mafia e di servizi segreti.......non vi sembra esagerato tutto questo? Sarebbe stato veramente così facile affermarsi per una Banda di "bravi ragazzi"? Bastano le accuse dei pentiti, che in qualche modo la vogliono fare franca, per gettare fango su chi non si può più difendere, visto che gli accusati sono tutti morti? Non vi sembra molto comodo? Come mai non fanno i nomi di chi ancora è VIVO E VEGETO? Paura?

14 nov 2006

LA BANDA DELLA MAGLIANA - L'ATTENTATO A ROBERTO ROSONE, VICE PRESIDENTE DEL BANCO AMBROSIANO


(…) indicazioni specifiche di un intreccio di interessi criminali tra la banda della Magliana,
ambienti della criminalità economica e politica e Cosa Nostra sono emerse nell’ambito delle
indagini concernenti un altro delitto "sporco"- il tentato omicidio di Roberto Rosone, vice
presidente del Banco Ambrosiano (presidente Roberto Calvi) , commesso a Milano il 27.4.1982.

Di tale reato - eseguito materialmente da Danilo Abbruciati che perse la vita in un successivo
conflitto a fuoco, e da Bruno Nieddu - sono stati imputati
Ernesto Diotallevi e Flavio Carboni, e indiziati Giuseppe Calò e tale Gianmario Matteoni.
Più precisamente - secondo la ricostruzione accusatoria (esposta nella ordinanza del G.I. diMilano del 22.12.87, conclusiva della tase istruttoria del relativo procedimento) - il Diotallevi, esponente di spicco della banda della Magliana, avrebbe svolto il ruolo di tramite tra i mandanti (il noto "faccendiere" Flavio Carboni e il boss mafioso Pippo Calò) e gli esecutori (Danilo Abbruciati, scelto dal Diotallevi, e il Nieddu, scelto dall'Abbruciati al posto del Matteoni che si era offerto, ma non era stato ritenuto idoneo).

Nell'ambito delle indagini, elementi di grande interesse sono stati forniti dalla teste Gabriella Popper, moglie di Gianmario Matteoni, nella deposizione resa il 16.6.1986 al G.I. di Milano.
Gabriella Popper al G.L di Milano (Fot. 748246-748251):
“Sono la moglie separata di Matteoni Gianmario che attualmente gestisce un'agenzia di assicurazioni in v.le Mazzini n. 14 di Roma e che abita in via Rodriguez Pereira n. 114 - Roma.
Mio marito conosce, anzi conosceva, Abbruciati Danilo da circa 20 anni; ha conosciuto Diotallevi Ernesto in carcere a Roma, ritengo nel 1965, allorché entrambi erano detenuti, sia pure in due procedimenti distinti. Ritengo che mio marito abbia conosciuto Flavio Carboni nel1970. So che ha conosciuto Pippo Calò, ma non so collocare l'inizio di questa conoscenza. Ha conosciuto Bruno Nieddu nel 1981. Mi risulta che mio marito è andato delle volte con Abbruciati e Nieddu, il quale faceva parte della manovalanza di Abbruciati.
Verso la fine del 1981 mio marito è entrato in società con Abbruciati Danilo nella gestionedell'autosalone sito in Circonvallazione Trionfale di Roma, tale autosalone si chiamava "Centrauto Prati". Ricordo, a tal proposito, che il giorno di Santo Stefano del 1981 Abbruciati ha portato a casa mia, a mio marito, i soldi di questa società, ricordo che gli ha dato più di 90 milioni in contanti, contenuti in una busta di plastica; ricordo che in tale data Abbruciati era ricercato. Io personalmente ho conosciuto Abbruciati prima che lo conoscesse mio marito,
ritengo nel 1960, ero una ragazzina. Mio marito si sentiva protetto da Diotallevi ed è stato sempre a "filo diretto" con lui, cioè non ha mai troncato i rapporti col Diotallevi.
Sia mio marito che Diotallevi avevano paura di Abbruciati perché era uno deciso e non perdonava gli sgarbi. Mio marito, mentre con Diotallevi non ha mai avuto periodi di freddezza,con Abbruciati per un lungo periodo non ha avuto rapporti perché avevano litigato; mio marito aveva intascato la somma offerta dall'assicurazione come risarcimento del danno di un furto diun'autovettura di Abbruciati, falsificando la firma della madre di Abbruciati perché l'auto era intestata alla madre.
Quando, nell'aprile 1982, si è verificato l'attentato a Roberto Rosone,

vicepresidente del Banco Ambrosiano, mio marito è stato più volte chiamato dal G.I. di Roma dr.Imposimato, perché da un albergo di Milano risultava che Abbruciati aveva telefonato a mio marito il quale mi ha raccontato che aveva testimoniato davanti al dr. Imposimato, dicendo che Abbruciati gli aveva telefonato per una questione di macchine.

Invece io posso testimoniare che, qualche giorno prima dell'attentato, per la precisione una settimana prima, mi trovavo in ufficio con mio marito presso l'autosalone, in tale ufficio vi sono due telefoni e mio marito parlava con
Abbruciati con un telefono e con Diotallevi con l'altro. Ricordo che Abbruciati gli comunicava che "il dottore non c'era che bisognava rinviare". Mio marito ripeteva queste frasi a Diotallevi nell’altro telefono. Io chiesi a mio marito: "Ma che cos'è la storia di questo dottore?" e lui ridendo mi ha detto che si trattava di uno scherzo.

Mio marito è stato arrestato dal G.I. Imposimato nel gennaio 1983 e dopo tre mesi di custodia cautelare è stato messo agli arresti domiciliari prima a casa e poi negli uffici di via Mazzini.
Tornato a casa, mio marito mi ha confidato quanto sto per verbalizzare. Pippo Calò e Flavio Carboni avevano dato incarico a lui e a Diotallevi, dietro compenso di 200 milioni, promettendo tale cifra di attentare alla vita di Roberto Rosone, vice presidente del Banco Ambrosiano perché era uno che “rompeva le scatole”. Sia mio marito che Diotallevi pensarono di affidare l'incarico dell’esecuzione materiale ad Abbruciati Danilo, dicendogli che "ci doveva andare personalmente
in quanto si fidavano solo di lui e che doveva sparare e andarsene". Mio marito desiderava partecipare alla esecuzione materiale dell'attentato, guidando la moto, ma Diotallevi non accettò perché sapeva bene che mio marito guida molto bene l’auto e non sa guidare la moto, però in quel periodo voleva rientrare nell'ambiente e voleva compiere questa azione per riacquistare prestigio. L’attentato doveva aver luogo la mattina presto, mio marito consegnò ad Abbruciati il numero di telefono di Diotallevi il giorno prima dell'attentato; Abbruciati avrebbe dovuto telefonare a tale numero subito dopo l'attentato per dire che tutto era andato bene”

Domanda: ma Abbruciati non aveva il numero di Diotallevi?
Risposta: “Diotallevi non dava ad alcuno il suo numero di telefono. La scelta di Nieddu Bruno, come guidatore della moto, non so come sia avvenuta, mio marito mi ha detto che era stato scelto perchè guidava molto bene la moto e aveva bisogno di soldi. Io avevo sentito parlare per la prima volta di Nieddu Bruno nel luglio 1981 allorché mi trovavo presso la villa di Diotallevi a Fregene.
Ero stata operata nell'aprile dello stesso anno di ernia al disco ed avevo avuto difficoltà per l’anestesia; Piangendo di questi miei guai, il Diotallevi disse che lui aveva un amico, Nieddu Bruno, il quale aveva una figlia handicappata e rovinata da una anestesia sbagliata e che quel poveraccio aveva bisogno di tanti soldi per poter curare questa figlia, in poche parole stavamo criticando i medici.
Tornando all'attentato Rosone, mio marito mi ha detto che Nieddu era venuto a Milano 2 o 3 volte prima del giorno in cui si è venficato l’attentato, che disponevano a Milano di un'altra persona, di cui però non mi ha dato particolari.
Dopo l'attentato, Nieddu è tornato a Roma e cercava mio marito e Diotallevi per avere un aiuto economico, sia per quanto aveva fatto e sia per potersi nascondere. Mio marito mi ha detto che i 200 milioni promessi non sono stati pagati, che la moto adoperata da Nieddu per l'attentato è stata fatta sparire”

Domanda: Lei ha dichiarato che l'incarico è stato dato da Pippo Calò e da Carboni: può direqualche cosa in più sulla partecipazione di Pippo Calò?

Risposta: “Sia mio marito che Diotallevi prestavano i soldi a Carboni ed entrambi erano in rapporti con Pippo Calò il quale ha fatto da padrino al primo figlio maschio di Diotallevi. Tenga presente che nel 1972 Guido Cercola, Franco D'Agostino, mio marito, Ernesto Diotallevi, un vice Questore o un vice Commissario di cui non ricordo il nome, hanno aperto un ristorante a Roma in cui ospite d'onore era Pippo Calò nella serata di inaugurazione. Pippo Calò mi risultache ogni qual volta c'è traffico di armi di droga interviene, prendendo parte attiva con la sua organizzazione. Io non so perché, unitamente a Carboni, abbia organizzato l'attentato a Rosone, quello che posso dire è che mio marito, mi ha fatto il nome di Pippo Calò”.

A.D.R. “I rapporti tra Abbruciati e mio marito, dopo quel periodo di freddezza, sono ripresi nell'ottobre-novembre 1981, a seguito della mediazione di Diotallevi che li ha fatti riappacificare”.

Domanda: Lei è venuta a conoscenza di quanto sopra verbalizzato relativamente all'attentato a Roberto Rosone nei primi mesi del 1983; come mai ha rivelato tali fatti soltanto il 10.1.1986, allorché è stata sentita come teste dal G.I. dr. Viglietta di Roma?

Risposta:
“Io, spontaneamente, mi sono recata prima dal giudice Imposimato di Roma, al quale
ho riferito oralmente quanto poi detto al dr. Viglietta; il giudice Imposimato mi disse che lui, per motivi di opportunità, essendogli stato ammazzato il fratello, preferiva che le mie dichiarazioni venissero verbalizzate da altro Giudice Istruttore, ecco perché, spontaneamente, mi presentai al G.I. dr. Viglietta. Il motivo per il quale mi sono decisa a rivelare quanto a mia conoscenza soltanto dopo circa 3 anni è perché mio marito mi era scaduto come uomo, mi aveva messo i figli contro, facendomi proposte anche di partecipare ad orge con altre donne. Con questo non intendo dire che io mi sono decisa a rivelare quanto sopra verbalizzato per ripicca nei confronti di mio marito, ma perché, mentre prima lo accettavo come dedito ad attività criminose, pur non condividendo il suo sistema di vita, oggi, per il suo comportamento nei suoi (miei) confronti, non mi sento più di proteggerlo.
Tenga presente che sono stata anche minacciata da uno sconosciuto, il quale mi ha detto che non dovevo deporre sull'attentato Rosone: su tale episodio ho già riferito dettagliatamente al dr. Viglietta”.
Tali dichiarazioni sono state integralmente confermate nell'ambito del presente procedimento.Gabriella Popper al G.I. di Palermo il 21.5.1987 (Fot 756631-756632):“Confermo tutte le dichiarazioni rese al G.I. di Milano dott. Mazziotti dopo averne ricevutolettura (Vol. 787, f. 180 e segg.). In ordine a Pippo Calò non ho altre notizie da riferire oltrequelle già dette. Confermo, comunque, i suoi stretti legami con il terrorismo di destra”.

A.D.R.: “Per quanto ho riferito alla Giustizia ho subito tre episodi di intimidazione. L'ultimo è avvenuto alla vigilia del Natale 1986; tornando a casa ho incontrato dinanzi al portone quattro individui dei quali uno parlava con marcato accento siciliano. Fu questo a dirmi di non parlare sul caso Rosone o meglio mi invitarono a ritrattare quanto da me già dichiarato”.

Nell'ambito del procedimento istruito dall'Autorità giudiziaria di Milano, con ordinanza del22.12.1987 è stato disposto il rinvio a giudizio di Ernesto Diotallevi e Flavio Carboni, mentre è stata archiviata la posizione degli indiziati Pippo Calò e Gianmario Matteoni.
La pronunzia di archiviazione, tuttavia, è stata determinata unicamente dalla considerazione che i due erano indicati come partecipi del crimine soltanto da una dichiarazione de relato, non integrata da nessun altro elemento idoneo a collegarli all'attentato.


È stata, comunque, sottolineata la attendibilità intrinseca della Popper, le cui dichiarazioni, secondo la pur cauta valutazione del Giudice Istruttore di Milano, “sono apparse coerenti,collegate almeno ad un riscontro [le telefonate tra l'Abbruciati e il Matteoni. NDR), giustificate sicuramente da un momento di contrarietà con il marito Gianmario Matteoni, ma ribadite con
lucidità”.
Qui, ovviamente, non è in discussione l'ipotesi di responsabilità formulata a carico di Pippo Calò per l'attentato al vice presidente del Banco Ambrosiano, e valutata, nei sensi riferiti, dal giudicecompetente.

Ai fini delle valutazioni da compiersi nel presente procedimento rilevano, infatti, non già le dichiarazioni de relato sulle specifiche confidenze del Matteoni relative al tentato omicidio di Roberto Rosone, bensì quelle con le quali la Popper ha riferito fatti che le risultavano personalmente: in particolare, gli stretti rapporti, attinenti ad affari illeciti, intercorsi tra Pippo Calò ed esponenti della banda della Magliana (Diotallevi, Abbruciati) già legati da numerosi contatti con esponenti della destra eversiva romana.
In questi termini, peraltro, le dichiarazioni della Popper sono totalmente riscontrate da ben piùconsistenti fonti di prova. [...]
Fonte: dalla requisitoria del Pm, marzo 1991 (Istruttoria dell'Autorità giudiziaria di Palermo sui "delitti eccellenti")

www.misteriditalia.it/banda-magliana/OKBandadellaMagliana(attentatoaRosone).pdf -

11 nov 2006

navigando ho trovato qualcosa di interessante......STRAGI E STRATEGIE AUTORITARIE

STRAGI E STRATEGIE AUTORITARIE

Luigi Cipriani, La relazione Anselmi plaude alla Dc.

Storia di una loggia nient'affatto segreta in Democrazia proletaria n.1/1986

" Gelli ha fatto pervenire una lettera nella quale dichiara che la P2 non era una loggia segreta. Niente di più vero! Mentre tutti i segretari di partito, Berlinguer compreso, con Andreotti, Forlani, Fanfani, Craxi e Spadolini dichiararono nel 1983 davanti alla Commissione di non sapere nulla della P2, esistono numerosi articoli di stampa che, a partire dal 1975, parlano diffusamente della loggia.. Possibile che non leggessero L'Espresso? "

La fragile democrazia argentina di Alfonsin ha avuto il coraggio di condannare all'ergastolo l'ammiraglio P2 Massera come uno dei responsabili dell'assassinio di migliaia di oppositori. Nell'Italia "paese più democratico del mondo" si sta invece andando all'ennesima chiusura, senza la individuazione dei veri responsabili, di una vicenda storica che, partita dalla strage di Portella delle ginestre al tentato golpe Sifar del 1964, alla strage di piazza Fontana a Milano, al tentato golpe Borghese, alla Rosa dei venti, al tentato golpe del P2 Fiat Edgardo Sogno, alle stragi di Brescia e dell'Italicus, fino a quelle recenti di Bologna nell'80 e del Natale 84, ha causato centinaia di vittime.

Le analisi storiche di questi avvenimenti hanno sempre individuato come protagonisti i servizi segreti atlantici e quelli nazionali, fascisti, mafiosi e massoni non solo P2, alte gerarchie militari, magistrati, giornalisti, grandi finanzieri e industriali. A tirare le fila si sono sempre trovati gli uomini della Dc che, di volta in volta, hanno provveduto a scaricare ed eliminare personaggi compromessi, impedendo contemporaneamente che si andasse a fondo nelle inchieste.

Gli autori della strage di Portella delle ginestre, Giuliano e Pisciotta, furono eliminati in accordo con carabinieri e mafia. Per il tentato golpe Sifar che vedeva implicato il Presidente della repubblica -il dc Segni- a "pagare" (in seguito prosciolto) fu il solo capo dei servizi De Lorenzo. La storia si ripeterà più tardi per le vicende di piazza Fontana, golpe Borghese, Rosa dei venti di cui voleranno gli stracci dei servizi (Miceli, Maletti, Giannettini) e dei fascisti, peraltro assolti successivamente. Contemporaneamente gli uomini di governo della Dc, Moro con gli omissis, Andreotti, Rumor, Restivo, il socialdemocratico di complemento Tanassi, il presidente atlantico Saragat e il dc Leone impedirono di conoscere le responsabilità politiche delle stragi con il segreto di stato. Gli uomini della Dc e della P2 operarono anche nel Ministero di giustizia e nella Procura di Roma dove le inchieste avocate furono insabbiate o svuotate fino a concludersi con un nulla di fatto.

Questo modo di operare della Dc, da un lato, ha teso a dare in pasto al parlamento e all'opinione pubblica la "volontà" di colpire i golpisti e le cosiddette deviazioni, garantendo dall'altro la continuità della strategia della tensione. La P2 è stato uno dei bracci operativi di un complesso di forze che rappresentano il sistema di potere democristiano nei quali si sono intersecati, negli anni, i vari alleati di governo. Possiamo ricordare le lotte per la conquista della Rizzoli, il traffico di armi e droga, il caso Eni-Petromin, il caso del petroliere Monti della Nazione e del Resto del Carlino, la grande truffa dei petroli e via dicendo.

La strategia dell'insabbiamento e dell'attacco ai magistrati che hanno osato andare a fondo nelle inchieste prosegue. Il giudice Palermo, accusatore di Craxi, è stato costretto ad abbandonare la magistratura, altri che hanno smascherato mafiosi legati alla Dc sono stati assassinati. Il giudice Nunziata che sta indagando sulla strage di Natale, mentre ancora una volta stanno emergendo responsabilità di servizi, mafiosi e fascisti viene in questi giorni sottoposto a provvedimento disciplinare e Craxi gli ha opposto il segreto di stato. Dopo undici anni, la magistratura ha deciso di chiudere la vicenda dei cinquecento esportatori di capitale che operarono con Sindona. I responsabili del Banco di Roma che restituirono loro le perdite -tra le quali un milione e mezzo di dollari dello Ior- sono stati amnistiati. Curiosamente i quotidiani, dando la notizia, hanno anche fornito alcuni nomi emersi durante l'inchiesta, dimenticando che nel 1978 emerse anche quello di Licio Gelli, assieme a quello del procuratore generale di Roma Carmelo Spagnuolo e all'amministratore della Dc Filippo Micheli.

Inopinatamente, in pieno clima natalizio, si torna a parlare della P2: Licio Gelli si appresta a tornare in Italia per costituirsi. Dall'Uruguay fanno sapere che l'archivio Gelli è scomparso e Andreotti, che di quell'archivio è il "proprietario" (incaricato di distruggere i 175.000 fascicoli Sifar e dell'ex Ovra di Mussolini non lo fece, affidandone una buona parte a Gelli) è preoccupato.

I magistrati di Bologna accusano della strage del 2 agosto Gelli, Musumeci e Belmonte del Sismi, piduisti provenienti dalla Pastrengo -il cui comandante Picchiotti P2 divenne vicecomandante dell'Arma e Palumbo P2 comandante del gruppo di Milano. Vengono incriminati anche Delle Chiaie e Fachini. Il rischio è ora che, nonostante il passo avanti, l'inchiesta si fermi a Gelli, ad alcuni generali felloni e alla manovalanza fascista. Va ricordato che il 1980 fu l'anno dei licenziamenti alla Fiat, della marcia dei quarantamila, dell'intervista di Gelli al Corriere. Il 1980 chiudeva la fase dell'unità nazionale ed apriva quella della restaurazione Fiat-Dc-Psi.

Ora il governo, improvvisamente, nel pieno della discussione finanziaria, per mettere il coperchio sulla P2 decide di portare in Parlamento, dopo due mesi di sonno, la discussione sulla relazione Anselmi. I tempi della discussione vengono ristretti ma, quel che è peggio, ancora una volta -e con l'approvazione del Pci e della Sinistra indipendente- si avvalla una relazione che esclude le responsabilità politiche della Dc nella vicenda P2. Anzi, la Dc viene indicata come vittima dei tentativi di golpe della P2 e Andreotti diviene addirittura il salvatore della democrazia, perché nel 1974 denunciò -per bruciarlo- Giannettini quale agente del Sid di Miceli.

Tutto ciò è gravissimo anche perché gli uomini della P2 sono tuttora ai loro posti ed il loro progetto politico sta procedendo, vedendo come protagonisti la Fiat e il pentapartito. La relazione Anselmi, oltre a scagionare la Dc, non nomina neanche il ruolo svolto dal Vaticano e dallo Ior nel Banco ambrosiano e come finanziatore dei golpisti per mano di Sindona e della Continental Illinois bank, dove operava Marcinkus.

Durante il dibattito parlamentare, Gelli ha fatto pervenire un dossier ed una lettera nella quale dichiara che la P2 non era una loggia segreta. Niente di più vero! Mentre tutti i segretari di partito, Berlinguer compreso, con Andreotti, Forlani, Fanfani, Craxi e Spadolini dichiararono nel 1983 davanti alla Commissione di non sapere nulla della P2, esistono numerosi articoli di stampa che, a partire dal 1975, parlano diffusamente della loggia.

A titolo di esempio riportiamo stralci di un articolo apparso su L'Espresso il 23 gennaio 1977 a firma di un massone, Roberto Fabiani, riguardante la questione delicatissima della nomina dei capi di stato maggiore della difesa e delle tre armi. Scriveva Fabiani: "La regia delle operazioni per la sostituzione è stata assunta da un personaggio che non è ministro né generale né funzionario dello stato: un cittadino qualunque. Si chiama Licio Gelli. Di lui negli ultimi due anni è stato scritto molto: che è massone e guida una loggia segreta, la crema della finanza, dell'esercito, della magistratura e della burocrazia"; che a questa loggia appartengono quasi tutti coloro che sono stati in odore di aver pensato colpi di stato; che è amico di Sindona e che, per difenderlo, ha fatto scendere in campo altri amici influenti. Rincarando, scrive ancora Fabiani: "Non è stato scritto che uno dei suoi hobby preferiti è quello di spostare generali, promettere posti, tracciare organigrammi. Né che è interlocutore abituale e ascoltato del presidente del Consiglio, Giulio Andreotti".

Che ne dice Andreotti? Sorprende che il ministro degli interni Pci Pecchioli, così attento alle nomine dei militari, non si fosse accorto di nulla (tanto più che Gelli era conosciuto nel Pci di Pistoia, quando lo salvarono dalla fucilazione nel 1946). Possibile che non leggesse L'Espresso? E intanto il nostro ministro degli esteri Giulio Andreotti, prima di Natale, è partito per l'Argentina e sulla via del ritorno si fermerà in Uruguay. Che va a fare Andreotti in Uruguay?

Molto probabilmente, ad accertarsi che il famoso archivio Andreotti-Gelli, custodito nella villa bunker che costui possiede a Montevideo, sia tutt'ora ben custodito dai generali fascisti uruguaiani recentemente estromessi dal potere. A Montevideo Andreotti potrebbe incontrare anche l'alterego di Gelli, l'avvocato Ortolani che egli conosce molto bene perché entrambi fanno parte dei Cavalieri di Malta, di stretta osservanza vaticana.

A gennaio riprende il dibattito P2. Dobbiamo smascherare la versione Anselmi.


http://www.fondazionecipriani.it/Scritti/anselmi.html

I GRANDI LIBRI DELLA VERITA' (ah ah ah ah)

Ragazzi di malavita - Fatti e misfatti della Banda della Magliana
autore: Giovanni Bianconi
editore: Baldini Castoldi

La banda della Magliana - Storia di una holding politico-criminale
autore: Gianni Flamini
editore: Kaos

Romanzo Criminale
autore: Giancarlo De Cataldo
editore: Einaudi

Il libro nero della Prima Repubblica
autore: Rita Di Gioacchino
editore: Fazi

Banda della Magliana - Alleanza tra mafiosi, terroristi, spioni, politici, prelati
autore: Otello Lupacchini
editore: Koinè

9 nov 2006

DA SEMPRE SI E' SAPUTO......

Banco Ambrosiano.
I periti: Calvi fu ucciso altrove, poi fu inscenato il suicidio.












Roma, 24 ottobre 2002

Roberto Calvi fu 'suicidato'. Il presidente del Banco Ambrosiano sarebbe stato prima assassinato in un cantiere discarica situato sulla sponda del Tamigi distante circa cento metri ad Est del ponte londinese. Quindi il suo corpo, già privo di vita, sarebbe stato condotto sotto il Blackfriars Bridge, dove fu inscenato il falso suicidio.

Sono queste le conclusioni cui giungono i periti incaricati dal Tribunale di Roma di effettuare analisi specifiche sul corpo riesumato del banchiere per stabilire le effettive cause della sua morte.

La perizia, disposta dal giudice per le indagini preliminari Otello Lupacchini nel 1998, nell'ambito del procedimento pendente a carico di Flavio Carboni, Ernesto Diotallevi e Pippo Calò, è stata affidata al collegio di esperti composto dai professori Brinkmann, dell'Università di Munster, Luigi Capasso, specialista di Antropologia fisica all'Università di Chieti, e Antonella Lopez, docente di chimica all'Università 'La Sapienza' di Roma.


Procura di Roma: nessuna perizia depositata

La perizia autoptica sulla salma di Roberto calvi non è stata ancora depositata. Lo precisa in una nota di poche righe il procuratore capo di Roma Salvatore Vecchione. "Con riferimento a notizie di agenzia odierna - si legge - si chiarisce che sino al giorno d'oggi e alla presente ora non risulta depositata alcuna perizia concernente l'accertamento delle cause della morte di Roberto Calvi".
Oltre agli esami anatomici sui resti di Calvi, le analisi si sono concentrate sui reperti relativi alle indagini svolte dalla polizia londinese sulla morte del banchiere, conservati presso i loro archivi, e sui bagagli del finanziere in custodia all'istituto di Medicina Legale dell'Università 'La Sapienza' di Roma.

Dalle analisi radiografiche sul cadavere di Calvi, risultano assenti lesioni ossee nel tratto cervicale, il che, secondo il collegio peritale, sarebbe in contrasto con alcuni dati relativi alle circostanze dell'impiccamento.

Le sue mani non toccarono i mattoniDalle analisi micromorfologiche, microchimiche e di distribuzione topografica delle lesioni delle unghie, e da quelle dei reperti lapidei, i periti concludono che le mani di Roberto Calvi non toccarono direttamente nessuno dei mattoni che furono poi trovati nelle tasche del vestito. Non solo. Le analisi dell'impalcatura che si trovava sotto il ponte dei Frati Neri quando il banchiere è morto, dimostrano che egli non toccò nessuna parte di questa struttura alla quale il suo cadavere è stato trovato sospeso.


Difesa chiede ricusazione perito

Una richiesta di ricusazione del professor Brinkmann, il medico tedesco che ha firmato la perizia sulla morte di Roberto Calvi, è stata avanzata al gip del tribunale di Roma dalla difesa di Flavio Carboni.


"Prove approssimative"

"Gli accertamenti sulla morte di Calvi sono stati sicuramente approssimativi". E' il commento dell'avvocato Renato Borzone, difensore di Flavio Carboni, agli esiti della perizia sulla morte del Presidente del Banco Ambrosiano.

La circostanza, secondo il legale di Carboni, dà ancora "più sostanza alla tesi del suicidio e dimostra come siano stati tralasciati una serie di elementi di fondamentale rilievo, come le macchie di vernice sulle scarpe, dei quali si potrà parlare se e quando il processo, anziché sui giornali, si potrà fare in un'aula di giustizia"


NO COMMENT!!!!


tratto da: http://www.rainews24.rai.it/Notizia.asp?NewsID=28162


6 nov 2006

Una vita vissuta nell’ombra

Dalla Magliana alla P2 dell’Ambrosiano, passando per Francesco Pazienza e Pippo Calò
Una vita vissuta nell’ombra
Breve biografia del faccendiere dalle molte amicizie oscure

di Mauro Bottarelli

La vita di Flavio Carboni è sempre stata all’insegna del pericolo e della spregiudicatezza. Sempre in equilibrio precario su quel sottile trapezio che divide la finanza corsara dal malaffare vero e proprio, la carriera di Carboni comincia all’inizio degli anni ’70 e prosegue attraversando le pagine più buie dell’Italia spaventata e misteriosa degli anni di piombo.
Una straordinaria ricostruzione della nascita e dell’ascesa di Flavio Carboni è contenuta nel libro di Gianni Flamini "La banda della Magliana" edito dalla Kaos edizioni, da cui prenderemo spunto per ricostruirne sommariamente le gesta. Ex impiegato della pubblica istruzione, ex imprenditore discografico, Flavio Carboni si era improvvisato speculatore nel settore dei terreni edificabili e delle costruzioni. La sua "abilità" affaristica era andata a scontrarsi contro un muro di protesti cambiari e la necessità di disporre di ingenti capitali per i suoi traffici speculativi portò Carboni nel giro degli usurai romani, mondo in cui fu introdotto da Oberdan Spurio, gestore di un vero e proprio sportello bancario all’interno della bottega di Campo de’ Fiori di Domenico Balducci, malavitoso e usuraio meglio conosciuto come Mimmo il Caravattaro. Attraverso la conoscenza di Spurio e Danilo Sbarra (anch’egli usuraio ma ufficialmente imprenditore edile)Carboni arrivò a Balducci con credenziali tutt’altro che prive di interesse per un uomo come Mimmo il Carvattaro: oltre ad essere in ottimi rapporti con alti prelati vaticani e con dirigenti democristiani come Benito Cazora, Clelio Derida e Mauro Bubbico, Carboni era anche socio del trafficante italo-svizzero Fiorenzo Ravello che in qualità di amministratore fiduciario di grandi patrimoni sporchi gode di prestigio e autorevolezza internazionale. Attraverso questa importante conoscenza Carboni si assicurò la stima di Balducci ma soprattutto del potente boss mafioso Pippo Calò. Ma Carboni come abbiamo già anticipato non è soltanto un malavitoso in senso generale, è anche direttamente legato alle operazioni di quella holding politico-criminale meglio conosciuta come Banda della Magliana, a sua volta in affari con la loggia massonica P2, Cosa Nostra e neofascisti. E proprio all’interno di questo intreccio spaventoso Carboni divenne protagonista di due delle pagine più oscure e oggi più che mai attuali della storia italiana: il rapimento e l’omicidio del presidente Dc Aldo Moro e il legame con il faccendiere Francesco Pazienza all’ombra della scalata e del "suicidio" Calvi, l’uomo del crack del Banco Ambrosiano. Partiamo dal caso Moro. Stando alle dichiarazione del pentito Buscetta, Pippo Calò si sarebbe opposto ai tentativi di intervento mafioso per salvare Moro poichè "(Calò) aveva un partito tutto suo che non voleva Moro libero". Flavio Carboni intervenne sul palcoscenico del sequestro per una vicenda affaristica denominata "operazione Siracusa" e che consisteva nella realizzazione di un porto turistico per la città siciliana e nella ristrutturazione del centro storico di Ortigia. Gli agganci politici in Sicilia a Carboni non mancavano certo, mancavano però 450 milioni di lire. Fu proprio l’usuraio Balducci ha fornire il denaro necessario a Carboni: denaro che arrivava "dal signor Mario, personaggio che godo fama di facoltoso e affermato imprenditore, uomo di squisita cortesia e di pochissime parole abitanet a Roma sulla via Aurelia". Il "signor Mario", in verità, era Pippo Calò in persona che metteva a disposizione dell’intraprendente faccendiere 450 milioni in contanti. Ora a Carboni mancava solo l’assenso degli amministratori regionali. E proprio a questo punto che il faccendiere decide di mettere a frutto i suoi contatti palermitani per intervenire sul caso Moro, sperando di ingraziarsi così il potere politico. Carboni decise così di rivolgersi all’amico Benito Cazora, deputato democristiano che all’epoca era già all’opera all’interno della Democrazia Cristiana per ottenere appoggi finanziari tali da attivare un grande boss della mafia calabrese che avrebbe avuto contatti importanti per garantire la liberazione di Moro". Carboni assicurò a Cazora di aver conosciuto un esponente della mafia internazionale dal quale sperava di avere informazioni utili alla liberazione del presidente Dc: inoltre, dovendo recarsi a Palermo per l’affare "Siracusa" avrebbe cercato di mettersi in contatto con esponenti di Cosa Nostra. Al colloquio tra Carboni e Cazora era presente anche il giornalista parlamentare Giuseppe Messina ed è proprio a Messina che qualche giorno più tardi Carboni comunicò il fallimento della sua "missione": "La dirigenza della mafia non vuole occuparsi del caso Moro. Posso solo dare un’interpretazione del rifiuto: la mafia è molto anticomunista e Moro è indicato come persona molto favorevole al governo con i comunisti". Come sia terminato il sequestro Moro purtroppo lo sappiamo tutti, i risvolti più nascosti di quel delitto restano invece avvolti nel più sordido mistero. Un’altro capitolo oscuro della lunga vita "professionale" di Carboni è quello che lo vede legato al faccendiere Francesco Pazienza.Quest’ultimo nell’autunno del 1980, grazie ad un’abile tessitura di rapporti occulti, costituì la società Ascofin, che in base alle testimonianza delle stesso Pazienza serviva "inizialmente da copertura delle mie in nome e per conto del Sismi". Solo "inizialmente" perchè poi "si tratterà essenzialmente di affari". Sulla piazza romana i maneggi affaristici di Pazienza procedevano a gonfie vele sopreattutto dopo che il vice-questore Pompò gli presente Flavio Carboni. Fra i due, nemmo a dirlo, si creò un’intesa immediata. Interessanti per capire gli sviluppi futuri del rapporto sono però le parole che Carboni disse al giudice istruttore di Roma: "Per come mi venne detto Pazienza era un uomo dalle molteplici attività e dalle notevoli entrature nei più svariati ambienti, così che non ebbi difficoltà a credere che si sarebbe assunto l’incarico di promuovere le mie attività all’estero, specialmente negli Stati Uniti. Ben presto, tuttavia, dovetti constatare l’inaffidabilità di Pazienza, interlocutore che sfuggiva alle richieste prendendo tempo e mancando a tutti gli appuntamenti che per me erano importanti". Parole dure a cui però non fecero seguito tracce oggettive nel momento in cui i due personaggi si ritrovarono alla corte del banchiere piduista Roberto Calvi, proprio nel momento in cui Carboni - a suo dire - vedeva sfumare un affare in Sardegna, dove la costituzione di una società con l’imprenditore Silvio Berlusconi per la realizzazione di un complesso edilizio fallì a causa del coinvolgimento di Berlusconi "nella vicenda relativa alla P2". Nel frattempo, però, Carboni (operando nell’ambito di "un programma d’acquisto, da parte mia ma per conto di Silvio Berlusconi, di una rete televisiva sarda") aveva anche allacciato buoni rapporti con Armando Corona, presidente della Regione Sardegna e massone di alto rango. Un nome, quello di Corona, che il faccendiere sardo annoterà sul proprio "diario privato", insieme ai "finaziatori" Enrico Nicoletti, Gino De Giorgi e Fausto Annibaldi, tutti e tre noti malavitosi. E, quasi a voler sancire in maniera quasi rituale con Pazienza, Carboni presentò al braccio destro del generale Santovito - capo del Sismi - e al sempre presente vice-questore Pompò la vecchia conoscenza Domenico Balducci. Queste le più eclatanti avventure di Flavio Carboni, a cui potremmo aggiungere mille altri episodi non ultimo quello riguardante i 750 milioni in buoni del Tesoro di provenienza illecita che Ernesto Diotallevi consegnò a Carboni in una busta nell’aprile 1982 nel tentativo di risollevare le sorti di un Calvi ormai prossimo al collasso. Ma la vita di carboni meriterebbe una biografia di almeno mille pagine. Pagine che potrebbe aiutare molti comuni mortali a capire i retroscena di una stagione politico-economico-criminale mai definitivamente chiusa. Ma anche intrecci che vedevano fianco a fianco massoni, spezzoni deviati dei servizi segreti, malavita organizzata ed eversione neofascista la cui eredità è giunta a noi tanto vivida e presenta quanto drammaticamente "silenziata". Un’altra avventura è finita, ma Flavio Carboni ha sette vite e di lui si tornerà a parlare ancora. Statene certi.


http://209.85.135.104/search?q=cache:74Lek-v0oNIJ:old.lapadania.com/1999/ottobre/14/141099p03a3.htm

CHE QUALCUNO FACCIA CHIAREZZA SU QUESTA MORTE!!!

Danilo Abbruciati, membro della banda della Magliana attenta alla vita del vice presidente del Banco Ambrosiano Rosore e viene ucciso sul posto da una guardia giurata.
Eccezionale e singolare il tempismo, la rapidità e la precisione del tiro del metronotte del quale peraltro non è stato mai reso noto il nome (pag. 198 "Ragazzi di malavita" di G. Bianconi - si chiamava Gianni Franco). .
Non sarà ne'il primo ne'l'ultimo dei componenti la banda della Magliana morti in circostanza non del tutto chiarite o uccisi.
http://strano.net/stragi/stragi/crono/crono82.htm


Le radici di chi....ha fatto strada....

(23/11/2002) “IL MESSAGGERO” raccontò così l’addio ai Mercati generali
17 Agosto 2005

"IL VENTRE DI ROMA NON ABITA PIU' QUI"
Dopo ottant'anni, questa sera chiudono i Mercati generali della via Ostiense…
di FabrizioVenturini

Non c'era bisogno degli studiosi Marvin Harris e Claude Lévi Strauss per spiegare ai romani che cibi e gusti alimentari qualificano i popoli – manifestandone il carattere e condizionandone i comportamenti – più di qualsiasi fattore climatico, fisionomico, o culturale. Chi in passato coniò il principio "Franza o Spagna purché se magna" e nel corso della storia – tra "tabernae", "cauponae", "frumentationes", Fori olitorii e Fori boari, vie biberatiche, horrea, granai imperiali – si è distinto per il talento economico, imprenditoriale, logistico, agricolo, ingegneristico, con cui per millenni ha gestito gli approvvigionamenti alimentari ha sempre saputo che vivere è nutrirsi. Ma che si vive meglio mangiando bene. Libri di sicuro illuminanti come "Buono da mangiare" o "Il cotto e il crudo" – dei due citati antropologi che lontano da Roma hanno capito verità fondanti sull'alimentazione dell'uomo – all'ombra del Cuppolone non hanno rivelato nulla di nuovo. E' la pancia a guidare il cervello e ad ispirare l'anima. Non viceversa. Anche per questo, quando a via Ostiense, questa sera, dopo una di quelle manciate di millenni che segnano il passare del tempo con novità autenticamente epocali che non lasciano nulla di identico a prima, verranno chiusi per sempre i Mercati generali sorti nel 1922 dove al tempo dei Cesari c'era l'Emporium di Roma in simbiosi col Tevere, i romani si sentiranno sfiorati da un soffio della storia. "Sarà come sentir la pagina di un libro che si chiude", prevede malinconico il cavalier Arturo Carpignoli, leader dei grossisti ittici 67 anni, 61 dei quali passati a vendere il pesce negli impianti della via Ostiense.

1922 - I mercati generali in costruzione

Se davvero l'uomo è quello che mangia, gli sgangherati Mercati generali romani oggi somigliano a un vecchio fegato malato che ha bisogno d'un trapianto compatibile con la sua biologica identità. Anni fa il raffinato intellettuale torinese Luigi Firpo pensò di aver colto l'identità romana più autentica nel fatto – ancora riscontrabile nei ristoranti tradizionali di Garbatella, Ostiense, Testaccio – che mangiando "pajata" cioè intestini di agnellini da latte, i romani siano "mangiatori di m….". Prima di Firpo, di Bersezio, di Soldati e dei tanti altri buongustai piemontesi che tentarono di assaggiare e gustare la "romanità", anche Edmondo De Amicis – l'autore di "Cuore", tanto per continuare a parlare di viscere – finì per parlare di cibo arrivato a Roma nel settembre 1870 con i bersaglieri italiani. Scrisse infatti del frate che il giorno seguente alla fatidica Breccia, nel Foro romano dove due giovani fanti piumati si estasiavano increduli fra colonnati, peristili, architravi, porse loro una pagnotta in segno di fraterna amicizia. E poi, anche di un altezzoso principe della Nobiltà nera che il 20, vedendo davanti al monumentale portone del suo palazzo a piazza Borghese il generale sabaudo Bessone, capo del XIII Abruzzi, dividere il rancio con gli ufficiali, scese in strada invitandoli tutti a pranzo.


Viale Ostiense, un particolare dei mercati nei primi anni '20

"Spero che non vorrà offendermi signor generale – disse impettito – ma sono millenni che davanti al portone di casa mia non sostano neanche i mendicanti più laceri perché la mia famiglia li ha sempre accolti in cortile con almeno un piatto di brodo: prego lei e i suoi ufficiali di accomodarsi alla mia mensa. In questa città ossessionata dal cibo come un lattante questa sera si chiude per sempre la mammella dei Mercati generali. I romani riusciranno a svezzarsi da questa dipendenza? Tutto in città parla di pietanze e leccornie. Persino i muri del Palazzo dei conservatori in Campidoglio, dove un'antica targa marmorea dà le misure degli storioni del Tevere da consegnare ai Senatori della città ancora forniti della saporitissima testa. Ma anche in una chiesa – Santa Maria in Pescheria – è stato ritratto con rispetto degno di quello che si dava ai Santi ed ai Beati un appetitosissimo luccio. All'epoca non c'erano ancora i Mercati generali: quello del pesce si trasferì a via Ostiense nel 1922 da viale Manzoni, ma prima la sede era in via dei Cerchi, prima ancora a piazza Navona, in precedenza al Portico d'Ottavia cioè nel Ghetto antico. Da lì gli operatori portarono con loro un ricco vocabolario di parole ed espressioni ebraico-romanesche: "cacerro" (da "kasher" buono, idoneo), "gazzimme" (da "ghazim" metà per uno, in affari come soci paritari), "colaimme" (da "kholaim" e cioè disastro, malanno, affare finito male). Anche il tradizionale Cottio sembra abbia avuto origine nella comunità ebraica secoli fa e di lì sia stato poi esportato nelle altre, successive, sedi del mercato ittico all'ingrosso di Roma.

Quella dei vecchi Mercati generali è, dunque, l'ultima attività economica che lascia la zona Ostiense-Testaccio-Garbatella, urbanisticamente strutturata per usi prodittivi fin dagli inizi del XX secolo. L'Annona comunale faceva parte infatti del primo quartiere industriale e produttivo di Roma, che conteneva anche il Gazometro, la Centrale a gas Montemartini, i Magazzini generali sul Tevere con il molo industriale "De Pinedo", il Mattatoio e un insieme di grandi fabbriche private – la Mira Lanza, la Saint Gobain, i Molini Biondi, l'Olearia Romana – che sfruttavano la moderna infrastrutturazione di quel comprensorio attrezzato producendo soprattutto i beni strumentali e di consumo (materiali edilizi, alimentari, detergenti) più richiesti dal mercato locale. I "buiaccari" (venditori di minestra calda con il grasso in fondo alle pentole) e i "perromanti" (detti anche "peracottari") che rifocillavano il popolo operaio dell'Ostiense hanno seguito a lungo gli alterchi tra salesiani e anarchici, tra i riformisti della Camera del lavoro e i rivoluzionari delle leghe operaie, tra bande di divertimento che organizzavano pranzi e adepti della setta pauperista di Alessio e Basilio Roncaccia. Questi fatti di vita vera avvennero tra gli anni '10 e '30 del Novecento quando il sociologo Domenico Orano (consigliere nella Giunta Nathan) documentò le avvilenti condizioni del proletariato residente in quest'area. Poi il fascismo e la guerra con le bombe sui Mercati generali a febbraio e a marzo 1944: morti, feriti, crolli. Le attività annonarie trasferite lungo la Passeggiata archeologica. Sei mesi prima, alcuni militari con vigili urbani, poliziotti, facchini, partigiani e cittadini si opposero ai nazisti a Porta San Paolo. Tra le vittime del nazifascismo ai Mercati generali il conte Giuseppe Celani, ispettore annonario (fu ucciso alle Fosse Ardeatine), Giuseppe Cinelli (facchino ucciso alle Fosse Ardeatine) detto L'avvocaticchio per la sua prosa incandescente di militante marxista), Salvatore Petronari (ucciso a Forte Bravetta). Non furono sacrifici inutili.
Per trent'anni dopo la Guerra – ricorda il cavalier Arturo Carpignoli, presidente dei grossisti ittici di Confcommercio – nei Mercati generali si è lavoranto tanto e bene. Il boom economico e la golosità dei romani ci hanno dato dei bei soldini.

Quei soldini non bastarono però a un giovane grossista, con un grande talento per gli affari, che si sarebbe reso famoso negli anni '70 come uno dei capi della malavita romana: Ernesto Diotallevi.

Tutti concordi nei viali dei Mercati generali: La morte di questa struttura ebbe inizio con una legge nazionale recepita da una delibera comunale negli anni '80, che consentiva i commerci all'ingrosso di ortofrutta, pesce e pollame anche al di fuori degli appositi spazi comunali . L'invecchiamento tecnologico, un totale disinteresse per il rilancio della struttura, la progressiva emarginazione dalle direttrici nazionali di traffico commerciale, hanno mano a mano avvilito i Mercati generali in condizioni di onerosa inutilità. Dagli anni '90 costavano al Comune 8 miliardi annui di lire. Ma da domani, questa lunga storia ricomincia con ben altre premesse, con ben altri obiettivi, ma con lo stesso vecchio spirito: garantire a Roma approvvigionamenti alimentari di prodotti freschi o freschissimi di alta qualità e a prezzi il più contenuti possibile.

http://www.agroalimroma.it/CAR/www/notizia.asp?menu=18&idart=34&id=81

Banda della Magliana:la storia infinita: E per farla breve.....(riferito al caso Calvi, all'attentato a Rosone e all'omicidio Pecorelli)

Banda della Magliana:la storia infinita: E per farla breve.....(riferito al caso Calvi, all'attentato a Rosone e all'omicidio Pecorelli)

E per farla breve.....(riferito al caso Calvi, all'attentato a Rosone e all'omicidio Pecorelli)

"Questa è la storia der passato
ch'era finito ed è ricominciato.
Questa è la storia der presente,
che se ce guardi nun capisci gnente.
Ma è puro la storia der futuro,
chi la capisce ce pò annà sicuro."

Franco Antonicelli
("Canzonetta")
Regina Coeli, 10 gennaio 1944

OPERAZIONE ISTRICE


L’operazione è stata attivata, nel novembre del 2000, dal Centro Operativo D.I.A. di Firenze, allo scopo di disarticolare un sodalizio criminoso presente in Versilia, facente capo al pregiudicato di origine calabrese Giovanni GULLA’ - insediatosi a Viareggio - e dedito al traffico di droga proveniente dalla Spagna e dal Sud America.

Le indagini hanno consentito, nel mese di ottobre 2001, di trarre in arresto, in tempi successivi, 17 soggetti - tra cui il GULLA’ e Fabiola MORETTI ex collaboratrice di Giustizia, appartenente alla “banda della Magliana” - ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere, traffico di droga ed armi, nonché di sequestrare 3 Kg. di cocaina.

http://interno.it/dip_ps/dia/pagine/2001_operazioni_rilievo.htm


Commento: e c'è qualcuno che ancora prende in esame le dichiarazioni della Moretti????


5 nov 2006

L'ALTRO NUMERO TELEFONICO MISTERIOSO...

Un numero di telefono simile a quello del procuratore generale della Cassazione era stato trovato nelle tasche del boss Abbruciati ucciso a Milano.
Flick difende Galli Fonseca, ma un pentito lo accusa. Mancini (banda della Magliana) al processo Pecorelli: fui assolto in Corte d'appello per merito suo...

di Giuliano Gallo

DAL NOSTRO INVIATO PERUGIA - "Un quadro suggestivo, ma infondato e irreparabilmente dannoso". E' anche troppo generoso, il ministro Guardasigilli. Ha appena finito di ricostruire alla Camera un brutto pasticcio poliziesco-giudiziario, un pasticcio che ha finito per sporcare di fango l'ermellino più potente del Paese. Quello di Federico Zucconi Galli Fonseca, procuratore generale presso la Corte di Cassazione. Il suo nome è finito in fondo ad un ordine di cattura. Perché, scriveva il giudice istruttore Otello Lupacchini nel suo provvedimento (l'ordine di cattura per tutta la banda della Magliana), il numero di telefono del procuratore generale era stato trovato nelle tasche di un killer: Danilo Abbruciati, boss della banda della Maglian a ucciso a Milano il 27 aprile '82, subito dopo aver sparato al vicepresidente del Banco Ambrosiano Roberto Rosone. Non solo. Secondo le indagini di polizia Abbruciati, cinque giorni prima di essere ucciso, aveva telefonato a Galli Fonseca da una s tanza del Motelagip di Assago, alle porte di Milano. Come risultava dalle schede dell'albergo. Nel gennaio scorso era uscito un articolo su un quotidiano romano, subito seguito da una raffica di interrogazioni parlamentari sull'argomento. Tra i fir matari l'ex ministro della Giustizia Filippo Mancuso. Prima di rispondere nella sede parlamentare Giovanni Maria Flick ha cercato di documentarsi come meglio poteva: si era fatto mandare da Milano copia di tutti i pezzetti di carta trovati nelle ta sche di Abbruciati e aveva richiesto anche le schede telefoniche del Motelagip. Poi aveva inoltrato una richiesta di spiegazioni anche al giudice istruttore Lupacchini. Risultato di queste verifiche chieste dal Guardasigilli: nelle tasche di Abbruciati il numero di telefono di Galli Fonseca non c'era. Nel rapporto di polizia infatti non si parlava di foglietti, ma si diceva solo che il numero "era collegato" al killer. Quanto alle schede del Motelagip, la Squadra Mobile di Milano aveva spiegato che fra i numeri segnati sulla scheda ce n'era uno che poteva essere quello di Galli Fonseca. Aggiungendo però che si trattava di un numero "incerto, in quanto gli ultimi numeri sono incomprensibili". Ma l'annotazione iniziale sparisce ("inspiegabilmente", aggiunge Flick nella sua risposta a Montecitorio) da tutti i successivi rapporti redatti dalla polizia giudiziaria. Alla fine il ministro parla apertamente di un "mero pretesto", che ha permesso di "gettare ombre sull'immagine e la credi bilità del dottor Zucconi". E non risparmia una pesante bacchettata al giudice Lupacchini. Che, dice il ministro, "confonde risultanze investigative diverse e fra loro disomogenee". L'ex ministro della Giustizia Filippo Mancuso si è dichiarato "non solo insoddisfatto, ma scandalizzato della risposta del ministro", e la cosa avrebbe anche potuto chiudersi così, nella sede delle interrogazioni parlamentari. Solo che martedì sera, alla fine dell'udienza del processo Pecorelli, qualcun altro aveva provveduto ad evocare il fantasma di Galli Fonseca: Antonio Macini, collaboratore di giustizia e accusatore di Claudio Vitalone. Sollecitato da Giosuè Naso, difensore dell'ex terrorista nero Massimo Carminati, Mancini aveva raccontato di una "strana assoluzione" da lui ottenuta il 20 giugno del '79 dalla corte d'appello de L'Aquila. Accusato di rapina e condannato in primo grado a 16 anni, Mancini era stato assolto e condannato solo per falso a quattro anni. "Mi venne indicata una certa mossa da fare per cambiare il presidente", aveva raccontato Mancini. "Io la feci... E con il cambiamento di presidente fui assolto". Naso gli aveva suggerito il nome del presidente della corte d'appello dell'Aquila, cioè quello di Galli Fonseca. E lui aveva confermato: "Sì, ma che ci posso fare io?". Solo che Federico Zucconi Galli Fonseca all'Aquila ci sarebbe arrivato due anni dopo, il primo aprile dell'81. E come procuratore generale, non come presidente della corte d'appello.

http://www.almanaccodeimisteri.info/Corsera-ProcessoPecorelli1996.htm

Carboni e l’attentato a Roberto Rosone - CERCHIAMO DI RICORDARE I COLLEGAMENTI.......

Il 28 gennaio 1983, su richiesta di Domenico Sica, Ferdinando Imposimato spiccò un mandato di cattura per associazione a delinquere e altri reati contro Flavio Carboni, Ernesto Diotallevi e altri “compagni di merenda”. Nell’inchiesta rimase coinvolto anche Florent Lry Ravello, il socio svizzero di Domenico Balducci.


Nell’ordine di cattura si parlava dell’attentatore Abbruciati e delle connessioni tra Flavio Carboni e Diotallevi rivelate da numerosi contatti telefonici tra i due.
Da qui gli investigatori risalirono ad altri rapporti intercorsi tra Carboni ed altri componenti della banda.


Roberto Rosone era il numero due del Banco Ambrosiano.
Alle otto di mattina del 27 aprile 1982, due uomini a bordo di una moto lo avevano aspettato sotto casa. Non appena lo avevano visto uscire, uno dei due era sceso dalla moto e gli aveva sparato ferendolo ad una gamba. Poi era risalito sulla moto e insieme al complice si apprestava a fuggire, quando una guardia giurata, che si trovava in servizio davanti alla filiale del Banco situata proprio sotto l’abitazione del collaboratore di Calvi, aveva fatto fuoco. Abbruciati veniva colpito a morte mentre il suo complice riusciva a fuggire.

In mezzo alla strada, era rimasto il cadavere di un uomo vestito con eleganza. Nelle tasche, la polizia aveva trovato una patente di guida nigeriana intestata a Danilo Abbruciati, vera identità del defunto, e un pacchetto di sigarette. Più tardi veniva identificato anche l’altro attentatore, un oscuro malavitoso di nome Bruno Nieddu. Gli investigatori avrebbero indicato Danilo Abbruciati come un boss di spicco del clan romano denominata Banda della Magliana.

All’epoca dell’attentato contro Roberto Rosone nessuno conosceva gli stretti rapporti che si erano instaurati allora, dopo il primo incontro in Sardegna, tra Calvi e Carboni.
Durante le indagini emerse che, in un pacchetto di Marlboro che Danilo Abbruciati portava nel taschino della giacca - o, secondo altre fonti, in una scatola di fiammiferi nella tasca del cappotto, c’era nascosto un pezzetto di carta accuratamente piegato con l’annotazione di due numeri di telefono.

Uno di essi corrispondeva a Ernesto
Diotallevi, sospettato di essere un altro elemento molto vicino alla Banda ella Magliana. Qualche tempo dopo saltarono fuori i rapporti che intercorrevano tra Diotallevi e Carboni. Le indagini accertarono, che il giorno successivo all’attentato a Rosone, Carboni aveva effettuato un pagamento di 530.000 dollari a favore di Diotallevi. E che Calvi aveva utilizzato per il suo viaggio a Londra verso la morte un passaporto falso che gli era stato fornito proprio da Diotallevi.

Anni dopo, queste clamorose circostanze diventarono piuttosto imbarazzanti per Carboni, il quale pensò bene di andare a deporre alla Procura di Roma:<<>> disse il “Nano Ghiacciato” faccendiere sardo al magistrato, <<>>.

Carboni e Ernesto Diotallevi furono condannati in primo grado, ma poi assolti in appello, quali mandanti dell’attentato a Rosone.
Il secondo numero di telefono, asnnotato sul foglietto trovato nel pacchetto di Marlboro o nella scotola di fiammiferi di Abbruciati, riservò una sorpresa ancora più clamorosa e rappresentò l’inizio di un vero e proprio giallo ancora oggi rimasto irrisolto.

http://72.14.207.104/search?q=cache:m09jdeEg3MUJ:www.rifondazione-cinecitta.org