30 ott 2006

Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano!!!!

Ma il boss chiede il ritiro della pellicola di Placido

Buona critica, buon pubblico ma il film di Placido con Kim Rossi Stuart potrebbe essere tolto dalle sale. (peccato che è un'altra storia e non ha nulla a che vedere con la banda della magliana)
La ricostruzione dei crimini della banda della Magliana, ritratta nell'ultimo film di Michele Placido «Romanzo criminale», lederebbe infatti l'onorabilità del pentito Maurizio Abbatino. (LUI PUO' INCAVOLARSI SE NON DICONO LA VERITA' PERCHE' E' ANCORA VIVO!!)
Per questo, l'avvocato del «Crispino», come era noto il componente dell'associazione malavitosa, ha chiesto la messa in mora alla Cattloya, che ha prodotto la pellicola, e alla Warner Bros, che ha affiancato la casa cinematografica insieme all'inglese Crime Novel e alla francese Babe.
La pellicola in questione porta sullo schermo la storia della banda della Magliana. Fra i protagonisti, accanto alle figure di spicco, c'è anche quella di Abbatino, che dopo l'arresto a Caracas nel gennaio 1992 aveva cominciato a collaborare con la giustizia, chiarendo molti dettagli della storia dell'organizzazione.
Il legale promotore dell'iniziativa è lo spezzino Enrico Vigorito.
In una lettera raccomandata, aveva dato cinque giorni di tempo alla produzione: dopo di che ha annunciato di voler procedere con la richiesta del ritiro del film di Placido dalle sale italiane, per tutelare l'onorabilità del pentito.
Abbatino, che le cronache dell'epoca descrivevano come timido, freddo, di poche parole, non ha gradito la ricostruzione dei fatti della trama, che attribuisce diverse responsabilità da quelle che gli sono state in realtà attribuite anche in episodi differenti da quelli tradizionalmente riconducibili alla Magliana, come la strage di Bologna o il rapimento Moro. (ALLORA STESSE ATTENTO A QUELLO CHE DICE DURANTE I PROCESSI....E' LUI STESSO A TIRARE IN BALLO "LA BANDA" IN SITUAZIONI RICONDUCIBILI A CERTE STORIE, POI SI STRANISCE SE NEL FILM HANNO FATTO ALLUSIONI???)
Il film, 105 minuti, con un cast notevole che conta su Stefano Accorsi, Gianmarco Tognazzi e Kim Rossi Stuart, è stato accolto con favore dalla critica e dal pubblico ma a questo punto il film rischia addirittura di essere messo in mora per lesa onorabilità.
TRATTO DA:

27 ott 2006

ARRESTATA LA PENTITA DELLA "BANDA DELLA MAGLIANA". SCOPERTO LABORATORIO NELLA VILLA PAGATA DAL GOVERNO. RAFFINAVA COCA A SPESE DELLO STATO.

ROMA - 17.07.98
La pentita della Banda della Magliana, Fabiola Moretti, è stata arrestata dai carabinieri del Nucleo Operativo del Comando provinciale di Roma con l'accusa di traffico di sostanze stupefacenti, in particolare di cocaina.
La donna era a capo di una organizzazione i cui cinque componenti sono stati tutti arrestati al termine di una operazione durata alcuni mesi. Fabiola Moretti, sottoposta a programma di protezione, viveva in una lussuosa villa sul litorale romano.
La donna, oltre a collaborare nell'inchiesta sulla banda della Magliana, ha deposto anche nell'ambito del processo per la morte del giornalista Mino Pecorelli.
Era la grande accusatrice dell'ex senatore Claudio Vitalone. Con il solo stipendio di collaboratrice della giustizia non riusciva più a sostenere la vita agiata di quando era ancora attiva nella banda della Magliana ed è così che ha deciso di riprendere il traffico di stupefacenti, proprio nella lussuosa villa sul litorale romano messale a disposizione grazie al programma di protezione.
È per questo che Fabiola Moretti, già in carcere per altri reati legati al traffico di stupefacenti, aveva allestito all'interno della villa, nonostante la sorveglianza, un laboratorio rudimentale per il "mischio" della cocaina.
I carabinieri del nucleo operativo del comando provinciale di Roma, diretti dal tenente colonnello Vittorio Tomasone, sono giunti all'arresto della donna insieme ad altri cinque complici dopo due anni di indagini, ai quali hanno fatto seguito numerosi pedinamenti e sorveglianza della villa.
Due mesi fa - ha spiegato ai giornalisti il responsabile dell'operazione, il maggiore Vittorio Trapani - le indagini si sono concluse e solo da pochi giorni è arrivato l'ordine di custodia cautelare.
Gli altri arrestati sono: Mauro Iacolucci, 53 anni romano e pregiudicato; Stefano Scopetti, 43 romano pregiudicato; Paola Marinelli, di 54 anni, di Montereale e pregiudicata; Pasqua Tomassini, di 50 anni, romano, pregiudicata; Dolores Zangoli, di 56 anni, romana, pregiudicata.
Dopo lunghe indagini - ha riferito Trapani - i carabinieri hanno chiuso il cerchio intorno alla pentita risalendo ad ingenti somme di denaro (circa un miliardo) provenienti dallo smercio della cocaina (circa dieci chilogrammi).
La Moretti otteneva direttamente la droga ad alto grado di purezza, la tagliava nel laboratorio allestito nella villa e quindi, attraverso i suoi cinque complici, la smerciava in particolare in tre zone di Roma: Monte Sacro, Testaccio e San Paolo-Eur. Ciascun complice smerciava 50 grammi di cocaina alla volta. Per occultare la droga in caso di improvvise visite della polizia la Moretti aveva comprato un cavallo e nascondeva la cocaina nel concime. All'interno della villa i carabinieri hanno ritrovato numerosi oggetti di argenteria, un televisore in ognuna delle dieci stanze, computer, vari gioielli e numerosi mobili di antiquariato.
COMMENTI: Mi chiedo come si è permessa questa a fare la pentita ed a "sputtanare" e ad usare a suo piacimento fatti e persone (la maggior parte "morti")?
Chi glielo ha permesso?
Come si possono prendere in esame le accuse ed i racconti di una - che non mi sembra sia uscita di collegio - e soprattutto MA DA CHE PULPITO VIENE LA PREDICA!!!!
Credo che i suoi amici si rivolterebbero nella tomba e la chiamerebbero solo in un modo.....lei sicuramente lo sa.

18 ott 2006

ANSA sul Caso Calvi - p. 2

19 maggio 2005 - CALVI: INCHIESTA STRALCIO; 4 INDAGATI, GELLI COME MANDANTE
ANSA:
CALVI: INCHIESTA STRALCIO; 4 INDAGATI, GELLI COME MANDANTE
Con il deposito degli atti relativi alla posizione di Silvano Vittor, rimangono quattro gli indagati della procura di Roma nell’ inchiesta stralcio sulla morte di Roberto Calvi. Tra questi Licio Gelli, ritenuto uno dei mandanti dell’ omicidio.
L’ indagine bis sul delitto avvenuto a Londra il 18 giugno 1982 e’ incentrata esclusivamente su mandanti ed esecutori le cui posizioni sono emerse successivamente alla definizione di quelle di Pippo Calo’, Flavio Carboni, Manuela Kleinzig ed Ernesto Diotallevi, recentemente rinviati a giudizio per concorso in omicidio.
Gelli, in particolare, fini’ nel registro degli indagati della procura molti anni fa in seguito alle dichiarazioni del pentito di mafia Francesco Marino Mannoia nel 1991. La posizione dell’ ex capo della P2 fu successivamente archiviata. La nuova iscrizione risale allo scorso anno in seguito agli sviluppi delle indagini ed, in particolare, alla testimonianze di tre inglesi ed un italiano.

CALVI: DA NEBBIE RISPUNTA IL GUARDIANO DEL BANCHIERE VITTOR
ACCUSATO CONCORSO IN OMICIDIO, GELLI MANDANTE
Nella vicenda dell’ omicidio di Roberto Calvi rispunta dalle nebbie un personaggio che sembrava dimenticato, ma che e’ sempre stato al centro delle indagini. Silvano Vittor, ex contrabbandiere triestino, che dalla veste di testimone del delitto si ritrova ora in quella piu’ sgradevole di imputato di concorso in omicidio.
Secondo i magistrati di Roma Luca Tescaroli, Maria Monteleone e Frencesco Verusio, Vittor, l’ uomo che per conto di Flavio Carboni controllo’ l’ allora presidente del Banco Ambrosiano durante il suo soggiorno londinese, concorse nell’ omicidio. Il suo nominativo va ad aggiungersi a quello dell’ ex cassiere della mafia Pippo Calo’, dello stesso Carboni, dell’ ex convivente di quest’ ultimo Manuela Kleinszig e dell’ ex boss della banda della Magliana Ernesto Diotallevi (tutti gia’ rinviati a giudizio) tra i presunti responsabili del delitto avvenuto a Londra il 18 giugno 1982.
E dalle stesse nebbie era gia’ rispuntato, circa un anno fa, anche il nome di Licio Gelli come mandante dell’ omicidio. Il nome dell’ ex venerabile della P2, e quello di altre tre persone, fanno parte del fascicolo stralcio tuttora all’ esame dei pubblici ministeri.
L’ accusa contestata a Vittor e’ contenuta nel capo diimputazione depositato a conclusione della prima tranche dell’ inchiesta stralcio sulla morte del banchiere. Una procedura, questa, che precede la richiesta di rinvio a giudizio. Ora l’auspicio dei pm romani e’ che la posizione di Vittor possa essere definita in tempo per l’ eventuale riunione (in caso di rinvio a giudizio) al processo, che comincera’ il prossimo 6 ottobre.
Alla base dell’ imputazione gli incontri di Vittor con l’ antiquario Sergio Vaccari, ucciso a coltellate tre mesi dopo l’ assassinio di Calvi e considerato un altro responsabile del delitto, le dichiarazioni di alcuni testimoni, una serie di intercettazioni e le contraddizioni nella sua ricostruzione dei fatti quando era un semplice testimone. Accuse respinte dall’ indagato il quale ha sempre rivendicato la propria estraneita’ all’ omicidio sottolineando che il suo ruolo fu solo quello di accompagnare Calvi a Londra. Per la procura, invece, Vittor e gli gli altri quattro imputati “avvalendosi delle organizzazioni di tipo mafioso - e’ detto nel capo di imputazione - denominate Cosa nostra e Camorra cagionavano la morte di Roberto Calvi al fine di: punirlo per essersi impadronito di notevoli quantitativi di denaro appartenenti ale predette organizzazioni; conseguire l’ impunita’, ottenere e conservare il profitto dei crimini commessi all’ impiego e alla sostituzione di denaro di provenienza delittuosa; impedire a Calvi di esercitare il potere ricattatorio nei confronti dei referenti politico-istituzionali della massoneria, della Loggia P2 e dello Ior, con i quali avevano gestito investimenti e finanziamenti di cospicue somme di denaro”.
Il deposito di atti degli inquirenti romani e’ avvenuto in concomitanza con le conclusioni dell’ inchiesta londinese. Calvi, per la City of London Police, fu strangolato da due o piu’ persone con una corda e impiccato ad un’ impalcatura collocata sotto il ponte dei Frati Neri. Nel 1982 il caso era stato archiviato come suicidio e solo a 20 anni di distanza riaperto.

CALVI: INCHIESTA STRALCIO; AVV. SALDARELLI, NESSUNA NOVITA’
“Non c’ e’ alcuna novita’ e Licio Gelli non ha ricevuto alcuna notifica di atti”. Lo ha detto l’ avvocato Luca Saldarelli, legale di Licio Gelli.
L’ avvocato ha detto che la notizia lo lascia “perplesso. Si tratta della vecchia iscrizione. Ma Gelli, che ho sentito nel pomeriggio, mi ha confermato di non aver ricevuto alcuna notifica”.

CALVI: LE ACCUSE CONTESTATE A SILVANO VITTOR
La procura di Roma contesta a Silvano Vittor l’accusa di omicidio di Roberto Calvi in concorso con Pippo Calo’, Flavio Carboni, Ernesto Diotallevi, Manuela Kleinzig e altre persone non ancora identificate.
Secondo i pm, Luca Tescaroli, Maria Monteleone e Francesco Derusio, i cinque “avvalendosi delle organizzazioni di tipo mafioso - si legge nel capo di imputazione - denominate Cosa nostra e Camorra, cagionavano la morte di Roberto Calvi al fine di: punirlo per essersi impadronito di notevoli quantitativi di denaro appartenenti ale predette organizzazioni criminali e, in particolare, a Cosa Nostra recuperati (in tutto e in parte) prima dell’assassinio di Calvi; conseguire l’impunita’, ottenere e conservare il profitto dei crimini commessi all’impiego e alla sostituzione di denaro di provenienza delittuosa, posti in essere tramite il Banco Ambrosiano e le societa’ collegate alle stesse; impedire a Calvi di esercitare il potere ricattatorio nei confronti dei referenti politico-istituzionali della massoneria, della Loggia P2 e dello Ior, con i quali avevano gestito investimenti e finanziamenti di cospicue somme di denaro”. In particolare, per quanto concerne Vittor, le direttive a lui impartite da Flavio Carboni, secondo l’accusa, sarebbero state finalizzate ad assicurare ospitalita’ a Calvi nell’abitazione triestina dell’indagato; nel predisporre e curare la fuga del banchiere in Austria ed il successivo trasferimento a Londra dove Vittor, sempre in base alle istruzioni di Carboni, avrebbe controllato Calvi fino al momento del delitto commesso con altre persone.

CALVI: PM ROMA, VITTOR E’ UNO DEI KILLER DEL BANCHIERE
CONCLUSA INDAGINE, VERSO RICHIESTA RINVIO A GIUDIZIO
Per la procura di Roma l’ ex contrabbandiere triestino Silvano Vittor e’ uno degli autori dell’ omicidio di Roberto Calvi. L’ accusa, di concorso in omicidio volontario premeditato, e’ contenuta nel capo di imputazione emesso dai pm Luca Tescaroli e Maria Monteleone a conclusione dell’ inchiesta stralcio sulla morte del banchiere avvenuta a Londra nel giugno 1982. L’ avviso di chiusura indagine notificata all’ indagato prelude alla richiesta di rinvio a giudizio.
I pm romani sperano ora che la posizione dell’ indagato possa essere definita in tempo per l’ eventuale riunione (in caso di rinvio a giudizio) con il processo, che comincera’ il prossimo 6 ottobre, all’ ex cassiere della mafia Pippo Calo’, all’ uomo d’ affari Flavio Carboni, l’ ex convivente Manuela Kleinzig e l’ ex boss della banda della Magliana Ernesto Diotallevi.
Vittor e’ l’ uomo che avrebbe accompagnato Calvi a Londra nel giugno 1982 su indicazione di Carboni. I suoi incontri con Sergio Vaccari, ucciso a coltellate tre mesi dopo l’ assassinio di Calvi, considerato un altro responsabile del delitto, le dichiarazioni di alcuni testimoni, una serie di intercettazioni e le contraddizioni della sua versione sono gli elementi, per gli inquirenti, che configurano una sua responsabilita’ nella morte dell’ ex presidente del Banco Ambrosiano. Accuse respinte dall’ indagato il quale, negli interrogatori sostenuti davanti ai pm romani ed agli investigatori inglesi che si sono occupati della vicenda, ha rivendicato la propria estraneita’ ai fatti e che il suo ruolo si limito’ semplicemente ad accompagnare Calvi a Londra.
Il banchiere fu trovato impiccato il 18 giugno 1982 sotto il ponte dei Frati Neri.

20 maggio 2005 – CALVI : DAI GIORNALI
“La Repubblica”
L´inchiesta stralcio conferma le ipotesi dei pm romani. E rispunta il "quinto uomo", il triestino Vittor
"Calvi strangolato da più killer"
Svolta dalla polizia di Londra, riaperto il caso del "banchiere di Dio"
Il corpo fu appeso al Ponte dei Frati neri per simulare un suicidio. I pm: mandante Licio Gelli, capo della loggia P2
ELSA VINCI
ROMA - Ventitre anni dopo: «Fu omicidio». Il banchiere Roberto Calvi fu strangolato da due o più persone con una corda in un cantiere discarica, più tardi il suo corpo venne appeso all´impalcatura del ponte dei Frati Neri a Londra per simularne il suicidio. Le conclusioni della City police sulla morte dell´ex presidente del Banco Ambrosiano sono state trasmesse alla procura di Roma dall´Home Office, il ministero dell´Interno britannico. La seconda indagine ribalta dunque il primo verdetto della polizia londinese che chiuse il caso nel 1982 bollandolo come suicidio. Stavolta i risultati dell´inchiesta inglese convergono con quelli dei pm Maria Monteleone e Luca Tescaroli, che hanno già ottenuto il giudizio per quattro persone, il boss della mafia Pippo Calò, Flavio Carboni, Ernesto Diotallevi e Manuela Zlenszig. Adesso spunta il "quinto uomo". Nell´inchiesta stralcio torna il "guardiano" del "banchiere di Dio": Silvano Vittor, ex contrabbandiere triestino, indagato per concorso in omicidio. Il mandante, ribadiscono in procura, è Licio Gelli, ex venerabile della Loggia P2. Il suo nome compare nel fascicolo bis con quello di altre tre persone.
L´accusa a Vittor è contenuta nel capo di imputazione depositato dai pubblici ministeri a conclusione della prima parte dell´inchiesta stralcio. Tra venti giorni la richiesta di rinvio a giudizio. L´uomo ha ammesso di avere accompagnato Roberto Calvi in hotel a Londra, aggiungendo però di averlo poi perso di vista. «L´ho lasciato alle otto per andare in aeroporto e rientrare a Vienna». Non è così per i magistrati.
Secondo i pm le direttive impartite da Flavio Carboni a Vittor sarebbero state «finalizzate ad assicurare ospitalità a Calvi nell´abitazione triestina, nel predisporre e curare la fuga del banchiere in Austria e il successivo trasferimento a Londra, dove l´ex contrabbandiere avrebbe controllato Calvi sino al momento del delitto, commesso con altre persone», almeno i quattro già rinviati a giudizio. Per loro il processo comincerà il sei ottobre prossimo, l´auspicio dei magistrati è definire in tempo la posizione di Vittor e mandarlo alla sbarra con gli altri. I cinque sotto accusa, scrivono i pm, «avvalendosi di Cosa nostra e della Camorra cagionavano la morte di Roberto Calvi per punirlo di essersi impadronito di denaro appartenente a quelle organizzazioni e conseguire l´impunità». Inoltre avrebbero ucciso il banchiere «per impedirgli di esercitare potere ricattatorio nei confronti dei referenti politico istituzionali della massoneria, della Loggia P2 e dello Ior (la banca vaticana), con i quali (gli indagati) avevano gestito investimenti e finanziamenti di cospicue somme di denaro».
L´inchiesta bis sul delitto avvenuto a Londra il 18 giugno 1982 guarda anche ai mandanti. Gelli finì sul registro degli indagati molti anni fa in seguito alle dichiarazioni del pentito di mafia Francesco Marino Mannoia, ma fu prosciolto. Il nuovo coinvolgimento dell´ex capo della P2 risale allo scorso anno. Contro di lui le testimonianze di tre inglesi e un italiano.

16 giugno 2005 - CALVI: PROCURA ROMA CHIEDE GIUDIZIO PER SILVANO VITTOR
ANSA:
CALVI: PROCURA ROMA CHIEDE GIUDIZIO PER SILVANO VITTOR
Dovra’ affrontare presumibilmente il processo Silvano Vittor, accusato di concorso nell’omicidio di Roberto Calvi, il banchiere ex presidente del Banco Ambrosiano trovato morto, impiccato a Londra sotto il ponte dei Frati Neri, nel giugno del 1982.
I pm Luca Tescaroli e Maria Monteleone hanno chiesto il giudizio per l’ex ‘guardiano’ di Calvi dopo aver chiuso l’indagine nei giorni scorsi.
Silvano Vittor, ex contrabbandiere triestino, originariamente testimone del delitto, e’ ora ufficialmente imputato di concorso in omicidio. Vittor e’ considerato dall’accusa l’ uomo che per conto di Flavio Carboni controllo’ l’ allora presidente del Banco Ambrosiano durante il suo soggiorno londinese, e che concorse nell’ omicidio. Il suo nominativo va ad aggiungersi a quello dell’ ex cassiere della mafia Pippo Calo’, dello stesso Carboni, dell’ ex convivente di quest’ ultimo Manuela Kleinszig e dell’ ex boss della banda della Magliana Ernesto Diotallevi (tutti gia’ rinviati a giudizio) tra i presunti responsabili del delitto avvenuto a Londra il 18 giugno 1982. E dalle stesse nebbie era gia’ rispuntato, circa un anno fa, anche il nome di Licio Gelli come mandante dell’ omicidio. Il nome dell’ ex venerabile della P2, e quello di altre tre persone, fanno parte del fascicolo stralcio tuttora all’ esame dei pubblici ministeri. L’ accusa contestata a Vittor e’ contenuta nel capo di imputazione depositato a conclusione della prima tranche dell’ inchiesta stralcio sulla morte del banchiere. Ora l’ auspicio dei pm romani e’ che la posizione di Vittor possa essere definita in tempo per l’ eventuale riunione (in caso di rinvio a giudizio) al processo, che comincera’ il prossimo 6 ottobre davanti alla II Corte d’Assise. Alla base dell’ imputazione vi sono gli incontri di Vittor con l’ antiquario Sergio Vaccari, ucciso a coltellate tre mesi dopo l’ assassinio di Calvi e considerato un altro responsabile del delitto, le dichiarazioni di alcuni testimoni, una serie di intercettazioni e le contraddizioni nella sua ricostruzione dei fatti quando era un semplice testimone. Accuse respinte dall’ indagato il quale ha sempre rivendicato la propria estraneita’ all’ omicidio sottolineando che il suo ruolo fu solo quello di accompagnare Calvi a Londra. Per la procura, invece, Vittor e gli gli altri quattro imputati “avvalendosi delle organizzazioni di tipo mafioso - e’ detto nel capo di imputazione - denominate Cosa nostra e Camorra cagionavano la morte di Roberto Calvi al fine di: punirlo per essersi impadronito di notevoli quantitativi di denaro appartenenti ale predette organizzazioni; conseguire l’ impunita’, ottenere e conservare il profitto dei crimini commessi all’ impiego e alla sostituzione di denaro di provenienza delittuosa; impedire a Calvi di esercitare il potere ricattatorio nei confronti dei referenti politico-istituzionali della massoneria, della Loggia P2 e dello Ior, con i quali avevano gestito investimenti e finanziamenti di cospicue somme di denaro”. La richiesta di giudizio per Vittor e’ successiva alle conclusioni dell’ inchiesta londinese. Calvi, per la City of London Police, fu strangolato da due o piu’ persone con una corda e impiccato ad un’ impalcatura collocata sotto il ponte dei Frati Neri. Nel 1982 il caso era stato archiviato come suicidio e solo a 20 anni di distanza riaperto.

ANSA sul Caso Calvi

18 aprile 2005 - CALVI: A GIUDIZIO CALO', CARBONI, KLEINZIG E DIOTALLEVI

L' ex cassiere della mafia Pippo Calo', l' uomo d' affari Flavio Carboni, la sua ex compagna Manuela Kleinzig e l' ex boss della Banda della Magliana Ernesto Diotallevi sono stati rinviati a giudizio per rispondere dell' omicidio dell' ex presidente del Banco Ambrosiano Roberto Calvi, trovato impiccato il 18 giugno 1982 a Londra sotto il ponte dei Frati Neri.
A disporre il rinvio a giudizio degli imputati per omicidio volontario e' stato il Gup Orlando Villoni che ha accolto le richieste dei pubblici ministeri Maria Monteleone e Luca Pescaroli. Il processo comincera' il 6 ottobre prossimo davanti alla seconda Corte di assise di Roma.

CALVI: CARBONI, CONTINUA LA BUFFONATA DELLA VICENDA
"Continua la buffonata. Ma non della decisione del giudice, bensi' di tutta questa vicenda". Sono le prime parole pronunciate da Flavio Carboni, dopo il suo rinvio a giudizio per la morte di Roberto Calvi.
"Secondo me - ha continuato - Calvi si e' suicidato, e spero che in giudizio verra' fuori il mio martirio personale in questa vicenda. Spero che tutto servira' a fare chiarezza. Proprio per questo, sono soddisfatto di un giudizio di questo genere che mi consentira' di dimostrare che non c' entro nulla".

CALVI: DIFESA CARBONI, FAREMO UN PROCESSO D'ATTACCO

"Il rinvio a giudizio e' stato disposto sulla base di una motivazione che da' un esito aperto in dibattimento. Faremo un processo d' attacco". Lo ha detto l' avvocato Renato Borzone, difensore, insieme con l'avvocato Anselmo De Cataldo, di Flavio Carboni.
"E' una decisione - ha continuato Borzone - molto significativa, che paragona questo giudizio con il verdetto di Londra con il quale i giudici dissero che non c' era certezza se la vicenda Calvi fosse inquadrabile come omicidio o suicidio. Oggi il giudice italiano ci dice che, quando ci sono elementi favorevoli all' accusa e altri favorevoli alla difesa, occorre il dibattimento".
Per il legale di Carboni, la difesa cerchera' in giudizio di ricostruire tutta la verita' dei fatti. "Faremo un processo d' attacco - ha concluso Borzone - C'e' una verita' parziale".

CALVI: GUP, CONSISTENZA DEL QUADRO PROBATORIO
La necessita' di svolgere un processo per l'omicidio di Roberto Calvi trova fondamento nella insussistenza di una prova di innocenza degli indagati. Questo, in sostanza, uno dei motivi che ha indotto il Gup, Orlando Villoni, a disporre 4 rinvii a giudizio per l'omicidio di Roberto Calvi. Secondo quanto si e' appreso, nel dispositivo letto dal magistrato si parla di una consistenza del quadro probatorio.

CALVI: GUP, SITUAZIONE COMPARABILE A 'VERDETTO APERTO'
"Ci si trova al cospetto di una situazione comparabile a quella del verdetto aperto (open virdict) che allo stato definisce l'esito del procedimento dinanzi alla giurisdizione britannica".
Lo scrive il Gup Orlando Villoni nel dispositivo di rinvio a giudizio dei quattro indagati accusati dell'omicidio di Roberto Calvi.
Citando la giurisprudenza della Corte di Cassazione, il magistrato afferma che "ai fini della sentenza di non luogo a procedere non e' necessario che vi sia la prova dell'innocenza dell'imputato o che si riscontri una totale mancanza di elementi a suo carico" circostanza, per Villoni, che impone una verifica in sede dibattimentale degli elementi probatori.
E parlando ancora della situazione comparabile a quella del verdetto aperto, il Gup sottolinea che "diverse (cinque) tra consulenze tecniche di parte (una anche disposta dal Pm) e perizie propendono per la tesi del suicidio: i responsi di due consulenze di parte (una peraltro nell'ambito di distinto procedimento dinanzi al foro civile) e il responso peritale dei professori Brinkmann e Capasso per quella dell'omicidio".
"Peraltro - si legge ancora nel dispositivo - l'obiettiva singolarita' del contesto di fatto e spazio-temporale del rinvenimento del cadavere della vittima (tra cui vale ricordare a mero titolo esemplificativo la consistente somma di denaro rinvenuta sulla sua persona e l'ubicazione del luogo dell'impiccamento in sospensione sul letto del fiume Tamigi) impone di non scartare pregiudizialmente ricostruzioni della vicenda ispirate a logica diversa da quella suicidiaria".

CALVI: PERITI CONFERMANO, COPRIDITO NON E' DEL BANCHIERE
OGGI DECISIONE GUP SU RICHIESTA GIUDIZIO PER OMICIDIO
I periti nominati dal gup di Roma Orlando Villoni hanno confermato oggi, dopo un approfondimento di indagine, che non sono di Roberto Calvi le tracce genetiche scoperte su un copridito sequestrato il 30 luglio 1982 a Flavio Carboni in Svizzera. Secondo gli esperti, che hanno svolto esami del dna, i residui trovati sull' indumento non sono neanche di Carboni, ma di un' altra persona.
Le conclusioni dei periti sono arrivate in concomitanza con il termine dell' esame della richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla procura di Roma per la morte dell' ex presidente della Banco Ambrosiano, trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri, a Londra, nel giugno 1982.
Nelle prossime ore il gup Villoni decidera' se debbano essere processati per omicidio l' ex cassiere della mafia Pippo Calo', l' uomo d' affari Flavio Carboni, la sua ex compagna Manuela Kleinzig e l' ex boss della Banda della Magliana Ernesto Diotallevi.

L'accertamento tecnico sul copridito era stato ritenuto importante dai magistrati perche' Calvi, pochi giorni prima di morire, si feri' ad un indice mentre faceva giardinaggio e portava quindi il copridito per protezione.
CALVI: PM, CONFERMATA IMPOSTAZIONE DELL'ACCUSA
"E' stata confermata l'impostazione del quadro accusatorio. Questa decisione costituisce un punto di arrivo, ma anche di partenza". Lo ha detto il Pm, Luca Tescaroli, commentando il rinvio a giudizio di Pippo Calo', Flavio Carboni, Manuela Kleinzig e Ernesto Diotallevi per l'omicidio di Roberto Calvi.

CALVI: A 23 ANNI DALLA MORTE SI FARA' UN PROCESSO
ACCUSATI DI OMICIDIO CALO', CARBONI, KLEINSZIG E DIOTALLEVI

A 23 anni da quello che rimane uno dei misteri della storia recente italiana, la morte dell'ex presidente del Banco Ambrosiano Roberto Calvi, arriva la decisione di celebrare un processo per concorso in omicidio volontario aggravato.
La firma all'ordinanza che dispone il dibattimento, che comincera' il 6 ottobre prossimo, e' del gup di Roma Orlando Villoni.
Quattro gli imputati per i fatti culminati con il ritrovamento di Calvi impiccato il 18 luglio 1982 sotto il ponte dei Frati Neri, a Londra: l'ex cassiere della mafia Pippo Calo', l'uomo d'affari Flavio Carboni, la sua ex compagna Manuela Kleinszig, e l'ex boss della banda della Magliana Ernesto Diotallevi.
Per il gup, che si e' pronunciato a conclusione di un esame della richiesta di rinvio a giudizio durato oltre un anno, il processo e' necessario per ricostruire tutti i passaggi della vicenda e, comunque, ci "si trova - e' detto nel dispositivo di rinvio a giudizio - al cospetto di una situazione comparabile a quella del verdetto aperto".

Bollato per anni come un caso di suicidio, il caso Calvi e' tornato d'attualita' quando alcune perizie hanno concluso per la tesi dell'omicidio. Secondo i pm Maria Monteleone e Luca Tescaroli, i magistrati che hanno chiesto il rinvio a giudizio dei quattro indagati, dietro la morte di Calvi ci sarebbe una serie di intrecci torbidi: la cattiva amministrazione del denaro di Cosa Nostra affidato al banchiere milanese, il pericolo di rivelazione dei segreti del riciclaggio attraverso il Banco Ambrosiano e la volonta', dei mandanti, di acquisire maggiore peso negoziale nei confronti di coloro che erano in rapporti con Calvi; massoneria, P2, Ior, referenti politici e istituzionali, enti pubblici nazionali.
Una ricostruzione che i difensori degli imputati, che da sempre rivendicano (sulla base di altre consulenze) la tesi del suicidio di Calvi, definiscono "fantasiosa".
"Secondo me - ha commentato oggi Carboni - Calvi si e' suicidato. Spero che in giudizio venga fuori il mio martirio personale. Tutta questa vicenda, non la decisione del gup, e' una buffonata". Per il pm Tescaroli, l'ordinanza di rinvio a giudizio conferma invece "l'impostazione del quadro accusatorio". "Questa decisione - ha aggiunto - costituisce un punto di arrivo, ma anche di partenza".
Sulla morte di Calvi, in procura, c' e' un secondo fascicolo aperto. Un'indagine stralcio sui mandanti dell'omicidio che vede indagate una decina di persone. E anche in Inghilterra, dove l'inchiesta fu chiusa forse troppo frettolosamente dapprima con una sentenza di suicidio e poi con un verdetto piu' aperto in cui sostanzialmente non si indicavano le cause della morte di Calvi, gli accertamenti sono ripartiti lo scorso anno sulla scorta degli sviluppi giudiziari romani.
http://www.almanaccodeimisteri.info/suicidi2005.htm

SI RIAPRE IL CASO E SPUNTANO I SOLITI.....IGNOTI (ignoti si fa x dire)



IL CASO CALVI - SI RIAPRE IL CASO (CHISSA' COM'E'....???)

A Londra il caldo deve ancora arrivare davvero quel 18 giugno 1982. Il vento che viene dal nord soffia forte e increspa le acque scure del Tamigi. Sotto il Ponte dei Frati Neri viene trovato impiccato il banchiere del Banco Ambrosiano Roberto Calvi. E' l'epilogo di una della più travagliata avventure finanziarie avvenuta nel nostro paese.
Giorni dopo l'operazione Centrale-Rizzoli. La commissione parlamentare di inchiesta sulla Banca Privata di Michele Sindona pubblica gli elenchi della Loggia massonica coperta P2, Propaganda 2, sequestrati a Castiglion Fibocchi nella villa di Licio Gelli.
Anche Roberto Calvi é iscritto alla loggia così come i massimi vertici degli apparati dello Stato, politici, faccendieri. In 34 buste sigillate è contenuta anche la documentazione relativa ai rapporti fra Roberto Calvi e Licio Gelli, il Venerabile che ama definirsi il burattinaio e in questa dichiarazione fa intravedere che nella P2 c'é molto di più di quello trovato dai giudici di Milano Colombo e Turone....

Il 20 maggio 1981 scattano le manette per Roberto Calvi. L'accusa é di aver violato le norme valutarie. A luglio viene processato con altri amministratori del Banco Ambrosiano e della Centrale. Condannato a quattro anni nel carcere di Lodi, Calvi tenta il suicidio. Ottiene la libertà provvisoria. Mesi dopo rientra al vertice della banca.
27 aprile 1982 il boss della Banda della Magliana Danilo Abbruciati tenta di uccidere il vicepresidente del Banco Ambrosiano Roberto Rosone che resta ferito nell'agguato.
Abbruciati viene invece ucciso da una guardia giurata.
5 maggio1982 la Banca d'Italia autorizza la quotazione del titolo "Ambrosiano" 17 giugno 1982, le quotazioni vengono sospese. Roberto Calvi é già da giorni irreperibile; la sua segretaria, Graziella Corrocher si suicida. Il giorno dopo viene trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri. Omicidio o suicidio? Mettiamo in fila i fatti.

Prima scena, la fuga.
Le sei e mezza del 10 giugno 1982. L'autista si reca nell'abitazione di Calvi ma il banchiere non c'é. L'11 giugno é già a Trieste. Al suo arrivo il banchiere viene preso in consegna da Silvano Vittor, profondo conoscitore dei valichi di frontiera. Deve mettere Calvi in condizione di espatriare illegalmente. Destinazione, Klagenfurt, Austria.
Il banchiere ora ha in tasca un nuovo documento d'identità a nome Calvini. Raggiunta Klagenfurt, Calvi telefona alla figlia Anna. "Sono stanco morto". La sera del 13 giugno 1982, insieme a Vittor raggiunge in auto Innsbruck. Poi vola a Londra su un velivolo privato. Insieme a Calvi c'é ancora Silvano Vittor. Per entrambi in Chelsea Cloisters Avenue c'é una prenotazione all'appartamento 881. Sera del 17 giugno 1982, alcuni uomini prelevano Roberto Calvi, lo caricano su una macchina con autista dal forte accento siciliano, lo trasportano sulla riva del Tamigi.

Seconda scena, il ritrovamento. All'alba del 18 giugno 1982, un impiegato delle poste britanniche si reca al lavoro, percorre la riva del Tamigi e nota un corpo che pende da una corda legata ad un traliccio del ponte dei Frati Neri. Due autopsie ordinate dall'autorità giudiziaria inglese, giungono a conclusioni diverse: una stabilisce che Calvi si è suicidato; l'altra lascia il verdetto "aperto": suicidio oppure omicidio. (difficile impiccarsi da solo in quel modo eh!??!!)

Terza scena, l' inchiesta giudiziaria italiana. Il giudice istruttore del tribunale di Milano sostiene la tesi del suicidio, ma non esclude la possibilità che il banchiere sia stato assassinato.
1988, processo civile intentato dalla moglie del Presidente dell'Ambrosiano Clara Calvi contro le Assicurazioni Generali. Il tribunale di Milano sostiene che Roberto Calvi è stato ucciso.
1992. La Cassazione trasferisce l'inchiesta sulla morte di Calvi da Milano a Roma. 1997. Il GIP del tribunale di Roma, Mario Almerighi emette un'ordinanza di custodia cautelare con l'accusa di omicidio a carico del boss mafioso Pippo Calò e del faccendiere Flavio Carboni. (ma guarda il caso eh!!??!!)

Quarta scena, la svolta.1998. Otello Lupacchini, é il nuovo GIP del tribunale di Roma. Lui ordina una nuova perizia sulle cause della morte di Calvi, riesumato il cadavere del banchiere. Il Gip chiude l'inchiesta e la passa ai sostituti procuratori della Repubblica di Roma Luca Tescaroli e Maria Monteleone.
Per loro Calvi é stato ucciso. Il reato é omicidio aggravato e premeditato. Chiedono il rinvio a giudizio per il cassiere di Cosa Nostra Pippo Calò, il potente faccendiere Flavio Carboni, l'esponente della Banda della Magliana Ernesto Diotallevi e dell'allora compagna di Carboni, l'austriaca Manuela Kleinszig.
Si ricomincia da zero. Ventun anni dopo la morte del banchiere Roberto Calvi, anche Scotland Yard riapre l'indagine.

Quinta scena, i pentiti. Dice Antonino Giuffré in un verbale segretato: "Le disavventure di Calvi sono iniziate quando ha investito senza oculatezza grosse somme di denaro di Pippo Calò e in seguito ai contrasti di natura economica con il suo gruppo. Successivamente ho saputo che a fatica le somme di denaro investito sono state recuperate..A Calvi veniva imputato il fatto di non aver gestito bene i soldi che gli erano stati affidati e questa cattiva gestione aveva fatto fare una brutta figura allo Ior, la banca del Vaticano. Il rapporto di fiducia tra Cosa Nostra e Calvi si era rotto. Le cose della mafia si risolvono solo in un modo:con l'eliminazione"

Sesta e ultima scena, i protagonisti secondo l'accusa.
Pippo Calò incaricato di gestire e investire grandi quantitativi di denaro sporco della mafia, impartirebbe l'ordine a due killer della camorra di uccidere Roberto Calvi e di simulare il suicidio. Flavio Carboni organizzerebbe la fuga di Calvi dall'Italia, curerebbe ogni dettaglio degli spostamenti, farebbe in modo che il banchiere venga prelevato degli esecutori materiali dell'omicidio. Manuela Kleinszig si occuperebbe della logistica collaborando con Flavio Carboni nell'organizzazione della fuga di Calvi. Ernesto Diotallevi, faccendiere legato alla Banda della Magliana sarebbe l'uomo di collegamento tra Pippò Calò, il presunto mandante, e Flavio Carboni, il presunto organizzatore dell'omicidio.

In un'udienza del processo sul crack del Banco Ambrosiano é il faccendiere Flavio Carboni a descrivere amici e nemici di Roberto Calvi santerrebbe unaconferma: il de Allessandro Gamberini é l'avvocato che difende la moglie di Roberto Calvi, Clara e il figlio Carlo. Gli abbiamo chiesto cosa si aspetta dall'apertura dell'inchiesta inglese sulla morte del banchiere.

a cura di Daniele Biacchessi
http://www2.radio24.ilsole24ore.com/speciali1/speciale_gialloenero20032004_6.htm

17 ott 2006

IL DELITTO PECORELLI

Roma, 20 marzo 1979: è appena uscito dalla redazione di OP, il periodico da lui diretto, quando Carmine Pecorelli, detto Mino, 51 anni, viene ucciso a colpi di pistola. Una vera esecuzione. Il movente di questo delitto insoluto sta tutto nella controversa personalità della vittima.


Laureato in legge, Pecorelli per qualche anno esercita la professione di avvocato, specializzandosi in grandi fallimenti fraudolenti, cominciando così a penetrare nei delicati meccanismi che legano il sistema degli affari a quello della politica.
Nell’ottobre del 1968, fonda OP, "Osservatorio Politico Internazionale", un periodico scandalistico secondo molti uno strumento, legato ai SERVIZI SEGRETI di ricatto e condizionamento del mondo politico. Per altri invece Pecorelli è un giornalista d’assalto, anche se indubbiamente ispirato da ambienti ambigui. L’unica certezza è che il direttore di OP è realmente legato ad alcuni corpi dello stato.
Lo riferisce Nicola Falde, colonnello del SID dal 1967 al 1969, lo testimoniano si suoi legami con Vito Miceli, capo del servizio segreto militare dal 1970 al 1974 e – stando ad alcune testimonianze – anche con il gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa.
OP si configura come un’agenzia di stampa che, attraverso grosse rivelazioni, sembra lanciare messaggi cifrati e spesso ricattatori. Dal marzo del 1978 OP diventa un settimanale: anticipa lo scandalo dei petroli, destinato ad esplodere anni dopo e soprattutto mostra di sapere moltissimo sul caso Moro.
Chi ha ucciso Pecorelli? In oltre vent’anni di indagini sono state battute le piste più disparate: l’estremismo di destra, la massoneria deviata, fino ad Andreotti in combutta con la mafia e ancora con la destra estrema.
Risultato: l’assoluzione, a Perugia, dell’ex presidente del consiglio e di tutti gli altri imputati.

marzo 1979:
Carmine "Mino" Pecorelli viene ucciso a Roma con quattro colpi di pistola calibro 7.65 poco dopo avere lasciato la redazione di "Op".
L'inchiesta, a carico di ignoti, viene affidata al magistrato di turno, dottor Mauro, e a Domenico Sica. Nell'indagine vengono coinvolti Massimo Carminati, Licio Gelli, Antonio Viezzer, Cristiano e Valerio Fioravanti.

15 novembre 1991: il giudice istruttore Francesco Monastero proscioglie tutti gli indagati per non avere commesso il fatto.

6 aprile 1993: Tommaso Buscetta, interrogato dai magistrati di Palermo, accusa Giulio Andreotti e le indagini ripartono. Due giorni dopo il verbale del pentito viene inviato dai pm siciliani a quelli di Roma che il 14 aprile iscrivono Andreotti nel registro delle notizie di reato.

29 lug 1993: il Senato concede l'autorizzazione a procedere per l'ex presidente del Consiglio, "in qualità di mandante" dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli: il reato configurato è omicidio premeditato in concorso con più persone. In base alle dichiarazioni di Buscetta il pm Giovanni Salvi indaga anche Gaetano Badalamenti e Giuseppe Calò.

Agosto 1993: le dichiarazioni dei pentiti della banda della Magliana, in particolare quelle di Vittorio Carnovale, coinvolgono l'allora pm romano Claudio Vitalone.

17 dicembre 1993:
l'inchiesta arriva alla procura di Perugia competente ad indagare sui magistrati romani. Nel capoluogo umbro Vitalone viene ufficialmente iscritto nel registro delle notizie di reato.

7 gennaio 1995: in base alle accuse dei pentiti Fabiola Moretti ed Antonio Mancini, i pm umbri indagano Michelangelo La Barbera e chiedono la riapertura dell'inchiesta su Carminati. (CHE SCHIFO!!!)

20 luglio 1995: l'allora procuratore capo Nicola Restivo ed i sostituti Fausto Cardella ed Alessandro Cannevale depositano la richiesta di rinvio a giudizio, con l'accusa di omicidio, per Andreotti, Vitalone, Badalamenti, Calò, La Barbera e Carminati. Quest'ultimo chiede ed ottiene di essere processato con il rito immediato, saltando così l'udienza preliminare.

novembre 1995: il gip Sergio Materia rinvia a giudizio gli altri cinque imputati.11 aprile 1996: comincia formalmente il processo. A presiedere la Corte d'assise è Paolo Nannarone che però risulta incompatibile in base alla sentenza della Corte costituzionale sul doppio ruolo dei giudici. Lo sostituisce Giancarlo Orzella. In 169 udienze vengono sentiti 250 testimoni e raccolte oltre 300 mila pagine di atti.27 aprile 1996: in base a una sentenza della Corte Costituzionale in materia di incompatibilità nelle funzioni giurisdizionali, il processo è sospeso e rinviato al 6 giugno perché uno dei giudici a latere aveva fatto parte del tribunale della libertà, pronunciandosi su istanze di coimputati di Andreotti.

9 settembre 1996: Tommaso Buscetta conferma le accuse contro Andreotti, affermando che Badalamenti e Stefano Bontade gli hanno detto che l'omicidio Pecorelli lo "avevano fatto loro, su richiesta dei cugini Salvo, nell'interesse del sen. Andreotti"; secondo Buscetta, Pecorelli poteva pubblicare documenti che riguardavano il caso Moro e che erano in possesso del gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa. Il giorno dopo, però, Buscetta ritratta in parte le affermazioni.
11 gennaio 1997: il 'pentito' Vittorio Carnovale, ex membro della "Banda della Magliana", afferma che il mandante dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli è il magistrato Claudio Vitalone.
28 febbraio 1997: il medico Gaetano Sangiorgi, genero di Nino Salvo, afferma che il 21 luglio 1993 i giudici di Palermo lo invitarono, "in modo esplicito", a dire qualcosa su Andreotti.
9 luglio 1997: Pippo Calò, il "cassiere" della mafia, nega di aver preso parte all'organizzazione dell'omicidio Pecorelli, di aver avuto notizie sul delitto e di essere stato un mafioso.

5 ottobre 1997: Giulio Andreotti nega di essere stato infastidito dagli attacchi di Pecorelli o di avere mai saputo che Franco Evangelisti finanziasse "OP". Aggiunge che né Evangelisti né Claudio Vitalone gli parlarono della cena alla "Famiglia piemontese" in cui l'ex magistrato avrebbe messo in atto un ultimo tentativo di far cessare gli attacchi del giornalista al gruppo andreottiano.
30 aprile 1999: i pm Fausto Cardella e Alessandro Cannevale chiedono l'ergastolo per tutti gli imputati del processo: Giulio Andreotti, Claudio Vitalone, Gaetano Badalamenti e Giuseppe Calò come presunti mandanti dell'omicidio; Michelangelo La Barbera e Massimo Carminati accusati di essere stati gli esecutori materiali.

13 settembre 1999: il pm Alessandro Cannevale ribadisce la richiesta dell'ergastolo per i sei imputati.20 settembre 1999: la corte d'Assise di Perugia (presidente Giancarlo Orzella e gli altri sette giudici, un togato e sei popolari) entra in camera di consiglio.
24 settembre 1999: dopo 102 ore di camera di consiglio viene pronunciato il verdetto: assolti tutti gli imputati, per non aver commesso il fatto. Giulio Andreotti il mandante secondo l’accusa.
Il Senatore a vita dal’91, ha dominato la scena politica degli ultimi cinquant’anni anni: sette volte presidente del Consiglio, otto volte ministro della Difesa, cinque volte ministro degli Esteri, due volte delle Finanze, del Bilancio e dell’Industria, una volta ministro del Tesoro e una ministro dell’Interno, sempre in Parlamento dal 1945 ad oggi, ma mai segretario della Dc. La storia politica della Repubblica italiana è la storia di Giulio Andreotti. Laureato in giurisprudenza, inizia la sua carriera politica come delegato nazionale dei gruppi democristiani; nel ‘45 partecipa all’Assemblea Costituente. L’attività di governo incomincia a 28 anni come sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel quarto governo De Gasperi. continua

PECORELLI: SENTENZA CASSAZIONE SU EX AGENTI SISDE La Cassazione ha confermato l' assoluzione di Vittorio Faranda, uno dei tre agenti del Sisde, ora in pensione, inquisiti per avere reso false dichiarazioni al pm nel corso dell' inchiesta sull' omicidio di Mino Pecorelli. Annullato invece con rinvio il proscioglimento dei suoi colleghi Mario Fabbri e Giancarlo Paoletti. Per Faranda, all' epoca sottufficiale, la Suprema corte ha accolto la tesi dei suoi difensori, gli avvocati Marco Brusco e Luca Maori, che hanno reso nota la sentenza. I legali avevano chiesto che fosse rigettato il ricorso dell' accusa. Gli avvocati Brusco e Maori hanno espresso "soddisfazione" per la decisione della Cassazione che rende definitiva l' assoluzione del loro assistito. Per Fabbri e Paoletti - difesi dagli avvocati Giovanni Militerni e Titta Castagnino - il processo e' stato invece rinviato davanti alla Corte d' appello di Firenze. In primo grado al questore Fabbri e al colonnello Paoletti erano stati inflitti otto mesi di reclusione; il sottufficiale Vittorio Faranda venne invece condannato a sei mesi. Pena sospesa e non menzione per tutti. La sentenza venne emessa il 13 luglio del 1996 dal tribunale di Perugia. Una sentenza riformata il 19 settembre del 2001 dalla Corte d' appello del capoluogo umbro che assolse i tre imputati con la formula "perche' il fatto non sussiste". Ora la sentenza della Cassazione.
Il Sen: sono contento la giustizia funziona
Giulio Andreotti non è colpevole, non è il mandante del delitto di Mino Pecorelli: lo ha stabilito la Corte d'assise di Perugia, che ha assolto il senatore a vita - per il quale i pubblici ministeri avevano chiesto l'ergastolo - dall'accusa di omicidio. Prosciolti anche gli altri cinque imputati: l'ex magistrato ed ex ministro Claudio Vitalone, i boss di Cosa Nostra Pippo Calò e GaetanoBadalamenti, il mafioso Michelangelo La Barbera, e l'ex terrorista nero dei Nar Massimo Carminati. La motivazione è identica per tutti: non hanno "commesso il fatto".
Ecco il primo commento rilasciato, a caldo, da Andreotti, rimasto lontano da Perugia: "Sono soddisfatto, la giustizia italiana funziona. Nel mio animo non avevo dubbi, però non basta avere ragione: bisogna trovare chi te la dà". Subito dopo ha parlato anche Vitalone, presente in aula: "Sono stati anni di amarezze e sofferenze che non possono e non devono essere dissipate; questa teoria grave di abusi e prevaricazioni non può restare senza un seguito". Diverso l'umore della sorella di Mino Pecorelli, Rosita: "Sono ancora convinta - ha detto - della bontà del materiale raccolto dall'accusa, e continuo ad avere fiducia nella giustizia".
Termina così, col sollievo degli imputati e l'amarezza dei parenti della vittima, uno dei più clamorosi processi dell'Italia repubblicana, che ha visto alla sbarra un leader politico che è stato sette volte presidente del Consiglio. Mino Pecorelli, direttore della rivista "Op", fu assassinato il 20 marzo del 1979. Secondo la ricostruzione dell'accusa, il movente del delitto è da ricercare nei "segreti" legati alla prigionia di Aldo Moro (e in particolare al suo famoso memoriale): tra queste verità, di cui il giornalista era venuto in possesso e che minacciava di utilizzare, anche alcune rivelazioni scottanti su Andreotti. Per questo il leader Dc avrebbe chiesto aiuto, sia a Cosa Nostra siciliana (attraverso i boss Badalamenti, Calò e Bontate, quest'ultimo deceduto), sia - attraverso il suo braccio destro Vitalone - alla banda della Magliana: entrambe le organizzazioni avrebbero mandato un proprio sicario, ad uccidere il giornalista.
Adesso, dopo vent'anni, la sentenza, che ribalta e nega le conclusioni dei pm. Un verdetto giunto al termine di una giornata di spasmodica attesa, cominciata in mattinata, quando la Corte d'assise di Perugia, presieduta da Giancarlo Orzella, ha fatto sapere di aver raggiunto il verdetto. I sei componenti, 2 giudici e 6 non togati, hanno deliberato dopo quattro giorni di discussione: erano riuniti camera di consiglio dalla tarda mattinata di lunedì. Oltre alle sei assoluzione, è stato deciso anche il trasferimento al pubblico ministero dalle dichiarazioni rese da uno dei principali testi dell'accusa: Fabiola Moretti, allora vicina alla banda della Magliana. E intanto, proprio per l'arrivo della della sentenza Pecorelli, a Palermo è stato sospeso il processo nel quale Andreotti è accusato di associazione mafiosa; questa mattina, appena giunte le notizie da Perugia, l'udienza è stata interrotta, e il dibattimento rinviato alla prossima settimana. Appare chiaro comunque che la sentenza di oggi non potrà non influire sulla vicenda giudiziaria palermitana, visto che le dichiarazioni di alcuni pentiti, fra cui Tommaso Buscetta, sono alla base di entrambe le accuse. Non a caso, questa sera, il senatore a vita ha dichiarato: "Adesso sono fiducioso anche per Palermo".(24 settembre 1999)

CARMINE PECORELLI E LA SUA ATTIVITA’
La morte violenta di una persona, a meno che l’uccisione non sia frutto di un raptus improvviso o di una malattia mentale, trova la sua ragione d’essere in motivazioni profonde che sono inscindibilmente legati alla persona dell’ucciso. Necessariamente quindi per individuare i suoi assassini deve analizzarsi la personalità di Carmine Pecorelli nella molteplicità dei suoi rapporti interpersonali, siano essi di natura privata o collegati alla sua attività nelle varie forme in cui essa si è manifestata. Leggi il seguito
Se Giulio è colpevole. E se è innocente.
Se e quando leggerete quanto scritto di seguito, Giulio Andreotti potrebbe essere stato dichiarato un assassino e un ergastolano virtuale, in attesa dell'appello; o uno statista restituito alla condizione laicale di senatore a vita e mondato dall'infame accusa di aver disposto l'uccisione di Carmine Pecorelli detto Mino, 20 anni fa. Esaminiamo le conseguenze politiche, civili e fantastiche dei due cosiddetti scenari.leggi il seguito
I pm: ergastolo per Andreotti
PERUGIA - Ergastolo. Per Giulio Andreotti, senatore a vita ed ex presidente del Consiglio; per Claudio Vitalone, ex ministro della Repubblica e magistrato. Ergastolo anche per Gaetano Badalamenti, vecchio boss della mafia perdente detenuto negli Usa, e per Pippo Calò, faccendiere di Cosa Nostra recluso in Italia. Furono loro - secondo la pubblica accusa - a ordinare l'omicidio di Carmine Pecorelli, noto Mino, giornalista discusso e scomodo che alle 16,07 di ieri ha avuto - a vent'anni dalla morte - una pubblica, appassionata e inaspettata riabilitazione: "Uno spregiudicato e scanzonato avventuriero della notizia", l'ha definito il pm Alessandro Cannevale. Rosita, la sorella del giornalista, alla parola "ergastolo" ha pianto: "Avevo detto immediatamente che quello di Mino era un delitto di Stato".leggi il seguito

Sentenza Pecorelli: Andreotti condannato (17 Novembre 2002)
Il 13 maggio 2002 comincia la celebrazione del processo d'appello. Se mesi dopo, il 15 novembre, i giudici entrano in camera di Consiglio. In due giorni la sentenza: 24 anni per Giulio Andreotti e per Gaetano Badalamenti. Assolti - qui l'Appello conferma il giudizio di primo grado - Giuseppe Calò, Claudio Vitalone, Massimo Carminati e Michelangelo La Barbera.



Lo strano caso del Sen Andreotti

La Corte d'Assise d'appello di Perugia ha condannato Giulio Andreotti a 24 anni per omicidio. Come mandante dell'assassinio del giornalista Mino Pecorelli. Critiche scomposte, a destra e a sinistra. Ma in un Paese (davvero) normale, i giocatori di poker non si siedono al tavolo verde con un baro: e non aspettano una sentenza. Da noi, invece, i giustizialisti (quelli veri) non escludono dalla politica gli indegni, prima vogliono la sentenza: se è di assoluzione, attaccano i magistrati; se è di condanna, non ci credono, e attaccano i magistrati... leggi il seguito

SI FA PRESTO A FRAINTENDERE...

Il "Romanzo criminale" continua: (già questo titolo fa fraintendere tra fantasia e realtà visto che il libro di De Cataldo è la storia romanzata, quindi rivisitata e corretta a suo piacimento - MA CHI NON E' INFORMATO NON PUO' SAPERLO - poi è uscito anche il film ed il pubblico ha preso per VERA LA SUA VERSIONE)

Le rivelazioni del boss della Magliana in esclusiva su "Chi l'ha visto?", in onda lunedi' 7 novembre su Raitre, ha intervistato per la prima volta il protagonista della Banda della Magliana, Maurizio Abbatino (era solo uno che conosceva alcuni dei componenti ma non faceva parte di nessuna Banda):
"gran parte del nostro bottino andava ad avvocati, perchè avevano tutti i migliori avvocati di Roma, medici, politici, cancellieri .
"Soldi che servivano ad aggiustare processi, a nascondere dalle procure i fascicoli che li riguardavano, a fare perizie in loro favore che li facessero uscire dal carcere, come quelle di Aldo Semerari, poi ucciso a Napoli dalla camorra. Nell'intervista ha parlato di gran parte dei misteri d'Italia di inizio anni 80: dal rapimento di Aldo Moro da parte delle BR (il cui ultimo nascondiglio in via Montalcini è nella zona della Magliana), a Michele Sindona, Roberto Calvi, la bomba alla stazione di Bologna... in ciascuno di questi misteri c'è stato un loro coinvolgimento. (secondo lui, ma chi dice che sia così???)
Come il mitra rinvenuto sul treno Milano Taranto, usato per depistare le indagini sulla strage di Bologna, da alcuni ufficiali del Sismi.
Abbatino l'ha riconosciuto come uno dei mitra del loro arsenale, che si trovava nei sotterranei del Ministero della Sanità. Dall'intervista emerge l'impressione di una persona che ha ancora paura di morire, per quello che potrebbe ancora rivelare" (MA DICE LA VERITA' ???? CHI LO PUO' SMENTIRE SE SONO TUTTI MORTI??)
"A volte non si sa di avere informazioni importanti. Devono essere i giudici a farti le domande giuste".
RIFLETTIAMO: Vorrei che la gente pensasse con la PROPRIA testa, senza prendere sempre per buono tutto quello che passa attraverso i media, i libri ed i film. (capisco però che non è facile)
E vorrei che tutti quelli che hanno sfruttato QUESTA STORIA, si prendessero le loro responsabilità, perchè anche grazie a loro ed ai SIGNORI PENTITI che ci sono stati e continuano ad esserci molti fraintendimenti e molte rivelazioni di comodo!!!
Come si può prendere per buone le confessioni di gente che è stata più dentro (in carcere) che fuori, oppure di gente che per anni è stata all'estero???? Forse solo x stanchezza, per pigrizia e per comodità.....per mettere un punto ai misteri di Italia, per concludere processi che non avrebbero mai fine.
Non importa gettare fango sui morti, l'importante è chiudere il caso!!!
Questa è la cosa più schifosa!!

12 ott 2006

A CHI CI CREDE.....

Bisogna pagare qualunque prezzo per il diritto di mantenere alta la nostra bandiera.
Ernesto Che Guevara

OMICIDIO PECORELLI:PRIMA SENTENZA CORTE D'ASSISE DI PERUGIA

La prima sentenza Il 20 settembre 1999 la corte d'Assise di Perugia (presidente Giancarlo Orzella, il solo togato, gli altri sei giudici popolari) entra in camera di consiglio: dopo 102 ore ne uscirà un verdetto di assoluzione per tutti gli imputati, per non aver commesso il fatto.
Ma come mai? Vediamola un po' più da vicino, questa sentenza, raccolta in ben 508 pagine cartacee (290 pagine web). Andreotti e Vitalone (assistito dall'avvocato Carlo Taormina, che nel processo alla mafia difende Totò Riina) sono indicati durante il corso del dibattimento, come mandanti dell'omicidio. Pippo Calò e Gaetano Badalamenti sarebbero l'anello intermedio fra i mandanti e gli esecutori, mentre Michelangelo La Barbera e Massimo Carminati sarebbero i presunti esecutori.
Il fatto è che i giudici, pur intuendo che dietro l'omicidio ci sia un gruppo di potere, continuano ad avere “alcune perplessità” in relazione “alla fitta rete di rapporti politici sociale ed economici, palesi e occulti che legano i vari personaggi coinvolti nella vicenda ”.
Insomma, la catena costruita dall'accusa, avrebbe un anello debole: non ci sarebbe infatti la prova provata che ci siano stati rapporti tra Pippo Calò e Danilo Abbruciati, boss della Magliana, indicati come mandanti intermedi, negli anni del delitto Pecorelli. Così, tutta l'impalcatura crolla. Secondo l'accusa, infatti, Andreotti e il suo ex braccio destro Vitalone, attraverso Calò e Abbruciati e questi, attraverso i cugini Salvo e la mafia trasferita a Roma sarebbero i mandanti e gli esecutori del delitto, ma se uno degli anelli di questa catena non viene provato, tutta la costruzione non sta più in piedi.
Una costruzione davvero troppo macchinosa, invero! Perché ci deve essere bisogno di tutta questa gente, di tutti questi intermediari? Non è possibile invece che la realtà sia molto meno complicata e macchinosa e che ci siano molti meno passaggi? Il castello complicato e complesso, cadendo ha liberato gli accusati. E tuttavia a leggere bene quella sentenza di assoluzione le cose non vanno così lisce per gli imputati, sia pure prosciolti.
Scrive infatti il giudice estensore Nicola Rotunno, quando analizza i rapporti fra Vitalone e Enrico de Pedis della banda della Magliana “Essi sono uno schizzo di fango (per adoperare una espressione cara all'imputato) che rimarrà attaccato alla persona di Claudio Vitalone non trovando alcuna giustificazione, se non in rapporti a dir poco non chiari, che un magistrato della Repubblica Italiana, un senatore che ha rappresentato l'Italia all'estero, intrattenga rapporti con esponenti di spicco della malavita organizzata romana.” Evidentemente l'avvocato Taormina, quando si congratulava col suo assistito, davanti ai giornalisti, dopo la sentenza di assoluzione, non conosceva ancora questo passo. E nemmeno noi lettori sapevamo quello che scrivevano i giudici in quelle 508 pagine. Alcune delle quali direi molto dure nei confronti di Giulio Andreotti. Quelle che lo collegano ai cugini Nino e Ignazio Salvo e parlano della sua conoscenza personale con loro “… e che tale conoscenza permetteva, in via ipotetica, al primo di chiedere ai secondi l'uccisione del giornalista Carmine Pecorelli.”
Il tribunale di Perugia considera attendibili anche i pentiti e riscatta la figura del Pecorelli, che non sarebbe stato un ricattatore, ma un giornalista vero. E il movente dell'omicidio? Sarebbe da rintracciarsi in 5 filoni della recente storia italiana “Il golpe Borghese, la vicenda Italcasse, il fallimento delle Banche Sindona, il dossier Mi.Fo.Biali, il caso Moro” cinque filoni, cinque strade dice la sentenza “che portano oggettivamente alla sfera di interessi di Giulio Andreotti e parzialmente anche a quella di Claudio Vitalone e Giuseppe Calò…”. (Ma il compagno Fassino era a conoscenza di queste cose, quando l'altra sera difendeva a spada tratta l'estraneità del senatore Andreotti a qualsiasi vicenda oscura?)
Un processo che lascerà il segno e che coinvolge un po' tutto l' establishment politico attuale. Ma i pentiti della Magliana non si accontentano di questo processo: entrano un po' dappertutto, sempre in accoppiata con Cosa Nostra, trascinandosi appresso un bel po' di gente. Infatti, in quello di Palermo contro Marcello Dell'Utri, accusato di concorso in associazione mafiosa, tirano in ballo anche Berlusconi: lo riporta con evidenza La Padania del 7 luglio 1998, intitolando l'articolo “Silvio riciclava i soldi della mafia” (http://www.lapadania.com/index2.htm). Ad accusare il cavaliere sarebbe Antonio Mancini, ex componente della banda della Magliana “I soldi della banda della Magliana e quelli della Mafia siciliana sono stati dati a Silvio Berlusconi per finanziare la speculazione edilizia in Sardegna” . Prosegue poi l'articolo della Padania: “Mancini ha parlato dei rapporti che esistevano fra la banda della Magliana e boss come Pippo Calò e Stefano Bontade. <>…”

COME DIFFAMARE UNA PERSONA: ESEMPIO PRATICO parte seconda

MAGNIFICA - FA DICHIARAZIONE SULLA STRAGE DI PIAZZA FONTANA - E INVECE DI TENERLO SOTTO CUSTODIA A 55 LUCCHETTI - GLI DANNO UN PERMESSO D'USCITA - SENZA MAI AVER SENTITO CHE DICHIARAZIONI VOLESSE FARE NEL 1983 ?

Dopo quindici giorni è stato arrestato a Parigi ed estradato in Italia tre mesi dopo. Nel 1995 Angelo Izzo ha ricominciato a fare rivelazioni, confessando di aver assassinato, nel giugno del 1975, Amilcare Di Benedetto perché avrebbe fatto sparire il bottino di una rapina che avevano commesso insieme. Fino ad allora Di Benedetto, il cui corpo Izzo avrebbe gettato in mare al largo di Riccione, risultava ufficialmente scomparso da una casa famiglia l'1 febbraio 1975.

stralcio tratto da www.namir.it/vittime/ghira2.htm

COME DIFFAMARE UNA PERSONA: ESEMPIO PRATICO parte prima

Danilo Abbruciati

Mafioso − Italia VORREI SAPERE DA DOVE E' EMERSA QUESTA NOTIZIA.....MO PURE MAFIOSO....MI SEMBRA ESAGERATO, QUESTA E' DIFFAMAZIONE!!!!

Esponente di spicco della Banda della Magliana.
Punto di contatto con Pippo Calò e Domenico Balducci. E CHI LO DICE???
In contatto con Cesare Valsania. E CHI LO DICE???
Secondo Angelo Izzo avrebbe commissionato a Fioravanti l'omicidio Pecorelli. ALLORA SE LO DICE IZZO E' VERO??? CI RICORDIAMO CHI E' IZZO E QUELLO CHE HA FATTO? MAGARI LO HA DETTO PER METTERE IN MEZZO FIORAVANTI NO????
Partecipa nel '75 all'omicidio di Amilcare Di Benedetto. E' PROVATO???? O LO DICONO I PENTITI???
Il 3.2.81 uccide Antonio Leccese. E' PROVATO?? O LO DICONO I PENTITI???
Il 16.10.81 partecipa all'omicidio di Domenico Balducci. E' PROVATO O LO DICONO I PENTITI???
L'11.3.82 uccide Duilio Fratoni, mafioso legato a Contorno. QUESTA E' GROSSA EH!!! MAI SAPUTO!!!
Morto ucciso il 27.4.82 dopo che aveva sparato al vice presidente del Banco Ambrosiano Roberto Rosone.
Uomo di Fabiola Moretti. QUESTO LO DICE LA "PENTITA" MORETTI???
ALLORA CI CREDIAMO.....MI SEMBRA CHE L'HANNO INCRIMINATA PER AVER FATTO DELLE DICHIARAZIONI FALSE, E SE FOSSE FALSO ANCHE QUESTA NOTIZIA?? OPPURE LE AVETE CREDUTO PERCHE' VI FACEVA COMODO?
DEL RESTO LE NOTIZIE DATE DA UNA "CONVIVENTE" RISULTANO PIU' CONVINCENTI RISPETTO A QUELLE DATE DA "UNA CHE OGNI TANTO CI SI VEDEVA", VERO???

NOTIZIE TRATTE DA:
http://www.archivio900.it
http://www.geocities.com/lollocas/neofa/pers_a.htm


11 ott 2006

TOLLERANZA ZERO: LE BESTIE SIETE VOI!!!



MAI PIU' VORREI VEDERE FOTO COME QUESTA PUBBLICATE SUI QUOTIDIANI O SUL WEB.
RACCONTARE LA VERITA', RENDERE NOTI GLI ATTI PROCESSUALI, MI STA TUTTO BENE,
MA LE IMMAGINI HANNO UN LORO PESO NEL CUORE DI CHI NON VORREBBE MAI CHE FOSSE ANDATA COSI', DI CHI HA UN GRANDE DOLORE E CON DIGNITA' LO PORTA DENTRO DI SE'.
VORREI UN PO' DI RISPETTO DA CHI E' ABITUATO A CONSIDERARE "UOMINI CHE HANNO FATTO DELLE SCELTE DI VITA DIVERSE DALLA MASSA E CHE HANNO RISCHIATO IN PRIMA PERSONA" DELLE BESTIE, PERCHE' SBAGLIATE O GIUSTE CHE SIANO, ALMENO LORO HANNO DECISO DA CHE PARTE STARE, POTREI CITARE MILLE ESEMPI DI PERSONE CHE NON HANNO LE IDEE CHIARE (GOVERNO)E CHE CI HANNO SOLO DANNEGGIATO
.

Tutti i nomi dell'omicidio Calvi - Esautorato il poliziotto che svelò l'intrigo

ROMA - Licio Gelli non è il solo: insieme a lui, per l'omicidio di Roberto Calvi, sono indagati due italiani ed uno svizzero che si occupararono dell'ultimo soggiorno a Londra del presidente del Banco Ambrosiano.

Nuovi indagati. Per la morte del banchiere milanese trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri il 18 giugno del 1982, la Procura di Roma ha iscritto sul registro degli indagati, insieme all'ex venerabile della Loggia P2, anche Giuseppe Bellinghieri, bizzarro trafficante messinese che amava spostarsi su una Rolls Royce color oro e coltivava un ricco conto corrente presso una banca della City; Paolo Pellegrini, suo amico e conoscente del faccendiere Flavio Carbone, già inquisito per la morte del banchiere; e Albert Kunz, svizzero, l'uomo che si preoccupò dell'ultimo trasferimento aereo dalla Svizzera in Inghilterra di Roberto Calvi.

Le ragioni dell'omicidio. Secondo l'accusa, Calvi fu ucciso per due ragioni: perché si sarebbe impadronito di ingenti somme di denaro che la mafia e la camorra gli aveva affidato per essere "ripulite"; e per impedirgli di ricattare i referenti politici della Massoneria, della Loggia P2 di Licio Gelli e dello Ior, la banca Vaticana, con i quali aveva gestito azzardati investimenti.

Gli altri quattro imputati. I nuovi indagati vanno ad aggiungersi agli altri quattro nomi già al centro degli accertamenti bis della procura di Roma: Licio Gelli, sospettato di essere il mandante dell'omicidio; il boss mafioso Pippo Calò; il braccio destro di Gelli, Flavio Carboni; la sua amica Manuela Kleinzig e l'imprenditore Ernesto Diotallevi. Chiesto il rinvio a giudizio anche di Silvano Vittor, l'ex contrabbandiere che accompagnò Calvi nel suo soggiorno a Londra, chiamato davanti al giudice per le indagini preliminari il 28 settembre prossimo.

L'interrogatorio di Gelli. Due settimane fa, Licio Gelli è stato sentito dai magistrati romani. Michele Gentiloni, legale di fiducia del "venerabile", ha ammesso l'audizione davanti ai giudici, ma ha respinto l'accusa di avere a che fare con la morte di Calvi. "Gelli ed io - ha dichiarato il legale - siamo sbalorditi per la pubblicazione della notizia dell'interrogatorio quando neppure la difesa è in possesso della copia del verbale. Escludo, comunque - ha concluso il legale di Gelli - che il mio assistito abbia detto che i mandanti dell'omicidio vadano ricercati in Polonia".

Riaperta l'inchiesta su Vaccari. L'iscrizione dei nuovi nomi nell'albo degli indagati giunge insieme alla notizia della riapertura dell'inchiesta sulla tragica scomparsa di Sergio Vaccari, l'antiquario romano residente a Londra, ucciso alcune settimane dopo la morte di Calvi. Vaccari sedeva accanto al banchiere dell'Ambrosiano all'ultima cena a Londra insieme a Flavio Carboni. Il 16 settembre 1982, tre mesi dopo il ritrovamento del cadavere del banchiere dell'Ambrosiano, Sergio Vaccari fu trovato nella sua casa accoltellato. Quella morte non fu mai spiegata: la Procura di Roma ha riaperto l'inchiesta per scoprire mandanti ed esecutori di quell'assassinio eccellente.

Esautorato l'ispettore di polizia. Infine l'ispettore della Polizia inglese Trevor Smith che riuscì a strappare il velo del silenzio sul caso Calvi prepitosamente archiviato come un semplice caso di suicidio, è stato trasferito in un ufficio amministrativo. L'investigatore che in un anno aveva trovato indizi e testimoni che in ventitré anni di indagini non erano stati mai individuati, è stato costretto a passare il testimone. Niente più indagini sul caso Calvi: il fascicolo è passato ad un collega. (19 luglio 2005)

RIFLETTIAMO:
ANCHE QUI LA MAFIA CI HA MESSO LE MANI E SI FA DI TUTTO PUR DI NON FAR VENIRE FUORI LA VERITA'......E COSI'SI CAMBIANO ANCHE GLI ISPETTORI DI POLIZIA, COME SI SONO CAMBIATE IN PASSATO LE SEDI DEI PROCESSI, COME SONO SPARITE PERIZIE E PROVE CHE POTEVANO INCRIMINARE GLI UOMINI DELLA PIOVRA.

Vicariato di Roma: i resti del capo della Banda della Magliana non saranno spostati


I resti di Enrico De Pedis, il capo della banda della Magliana, non saranno spostati dalla Basilica di Sant'Apollinare. E' quanto ha deciso il Vicariato di Roma intervendo su una vicenda che aveva scatenato numerose polemiche per la sua sepoltura in un luogo sacro, avvenuta il 24 aprile 1990.

Riportiamo il testo ufficiale del Comunicato del Vicariato del 03/10/2005:

"Gli attuali responsabili del Vicariato pur comprendendo che tale sepoltura possa suscitare notevoli perplessità devono precisare di essere venuti a conoscenza di essa soltanto dopo la morte del Cardinale Ugo Poletti che la autorizzò e di non possedere altre informazioni in merito al di là dell'autorizzazione stessa e di un attestato di Mons. Piero Vergari, allora rettore della Basilica di Sant'Apollinare, già resi pubblici dai mezzi di informazione.
Non si ritiene daltronde di dover procedere all'estumulazione in quanto l'autorizzazione concessa dal Cardinale Vicario oltre che per il rispetto che si deve comunque ad ogni defunto.
Appare infine infondato qualsiasi collegamento tra la scomparsa di Emanuela Orlandi che ha avuto luogo il 22 giugno 1983 e la sepoltura di Enrico de Pedis in Sant'Apollinare, avvenuta oltre 6 anni dopo. Questo Vicariato, comunque, per parte sua non si oppone ad ulteriori accertamenti in merito."

TRATTO DA: www.archivio900.it/it/articoli/art.aspx?id=6197

L'omicidio dimenticato

A Roma è in corso il processo per l'assassinio di Roberto Calvi. I giornali se ne disinteressano, ma seguirlo può essere utile per capire l'Italia di ieri e quella di oggi, scrive Philip Willan.

Nel quasi totale silenzio dei mezzi di comunicazione, a Roma si sta svolgendo un processo importante per la storia d'Italia. È uno di quei procedimenti che meriterebbero la definizione di "processo del secolo": quattro uomini e una donna sono accusati dell'omicidio di Roberto Calvi, il "banchiere di Dio" e del potere secolare nell'Italia del dopoguerra.

Lo seguono le telecamere di Chi l'ha visto? e di Un giorno in pretura e ogni tanto fa un salto qualche collega delle agenzie. Ma sui giornali non si legge quasi niente. Si può anche capire: i fatti risalgono a ventiquattro anni fa e il pubblico si è stancato. Si rischia di scambiare una scoperta di due decenni fa per uno scoop giornalistico di oggi. Il ritmo del procedimento è lento, malgrado gli sforzi del presidente, ansioso di non perdere tempo.

Il ruolo del pubblico ministero somiglia un po' a quello del regista del Signore degli anelli, che ha girato il materiale per i tre episodi in ordine non cronologico, in un unico sforzo creativo. Dopodiché ha dovuto montare e rendere comprensibile il tutto. La stessa cosa succede nell'aula-bunker di Rebibbia, dove i testimoni ricreano le scene dell'epopea di Calvi in un ordine dettato casualmente dalle convocazioni. Si spera che alla fine la corte riesca a ricostruire un racconto su cui giudicare. La scarsa capacità comunicativa di qualche testimone e i vuoti di memoria di altri non aiutano; siamo infatti quasi ai limiti temporali per uno sforzo ricostruttivo di questo tipo.

Di recente sono venuti a testimoniare l'ex ministro degli interni Giuseppe Pisanu e il presidente del gruppo Espresso, Carlo Caracciolo. A entrambi è stato chiesto di parlare della loro amicizia con Flavio Carboni e di quello che Carboni raccontava su Roberto Calvi. Un aspetto curioso del processo è il modo in cui coinvolge tutti gli strati della società italiana. Carboni, per esempio, era socio in affari con l'allora imprenditore Silvio Berlusconi ma anche con gli usurai della banda della Magliana e, secondo l'accusa, con il gruppo mafioso di Pippo Calò, altro imputato del processo.

Anche il figlio di Calvi, Carlo, ha testimoniato nelle ultime settimane. Ha ricordato alla corte i rapporti del padre con Licio Gelli e Umberto Ortolani, esponenti di spicco della loggia P2.

Il padre era considerato inaffidabile dalla classe politica dell'epoca, ha spiegato il figlio, perché poteva essere indotto a rivelare fatti imbarazzanti per difendersi nel processo per reati valutari che stava per cominciare. E ha ricordato le minacce che il padre aveva ricevuto da Giulio Andreotti in persona. "Andreotti ha detto delle cose che lui ha interpretato come minacce di morte. Ma non so le parole precise", ha detto.

La corte ha anche sentito testimonianze sul ruolo della banca vaticana nel riciclaggio del denaro sporco della mafia e infinite disquisizioni su alleanze e guerre tra fazioni rivali della criminalità organizzata. Il processo richiede molta pazienza, ma offre un'occasione unica per chiarire un pezzo importante della storia di questo paese. Da Calvi siamo passati a Tangentopoli, da Mani pulite a Piedi puliti e ai "furbetti del quartierino" in una costante evoluzione della cultura dell'illecito "politico".

In un certo senso il povero Calvi era il "nonno" del sistema che vediamo manifestarsi – a volte in modo sofisticato e davvero ingegnoso – negli scandali attuali. Potrebbe essere interessante e utile capire come funzionavano le leve del potere occulto ai tempi del "banchiere di Dio" anche per capire meglio l'Italia di oggi.

TRATTO DA www.internazionale.it/home/primopiano.php?id=12819

PRATO VERDE S.p.a. & Co.

I miei rapporti con Flavio Carboni erano tenuti dal mio amico Romano Comincioli", ammette Silvio Berlusconi deponendo al Tribunale di Verona il 27 settembre 1988 : si tratta di un'ammissione importante, ancorché inevitabile.
Romano Comincioli attualmente alle dipendenze di Publitalia, di Berlusconi è un ex compagno di liceo, e da sempre è un suo stretto e fedelissimo collaboratore fin da metà anni Sessanta, quando Comincioli vendeva le abitazioni che la Edilnord aveva costruito nel centro residenziale di Brugherio. A metà anni Settanta, quando Berlusconi ha necessità di una società dì comodo per alcune operazioni immobiliari, il Comincioli fonda, insieme con Maria Luisa Bosco (anch'essa agente immobiliare della EdiInord), la Generale commerciale sri. La società nasce a Milano il 15 aprile 1976 con un capitale di 900 mila lire, e scopo sociale la compravendita di immobili in proprio e per conto terzi, amministratori Cominciolì e Bosco, entrambi con facoltà di firma disgiunta. Benché dotata di un risibile capitale sociale, la Generale commerciale comincia subito a manovrare cifre ingentissime, delle quali tuttavia nei suoi bilanci non vi è traccia.
Sia personalmente, sia quale contitolare della Generale commerciale, Comincioli è uomo di fiducia di Berlusconi: ne attua le direttive, opera con i suoi finanziamenti, agisce in suo nome e per suo conto. Per Berlusconi, Comincioli è un prezioso prestanome, un necessario e comodo paravento quando si tratta di dare corso a ardite e "pericolose" operazioni speculative in diretto contatto con noti esponenti della criminalità organizzata o con affaristi malavitosi.
Questi complessi rapporti scabrosi fanno perno soprattutto sulle spericolate scorribande del faccendiere Flavio Carboni, e a esse si intrecciano. Berlusconi, tramite il paravento Cominciolì, concede a Carboni cospicui finanziamenti, in cambio dei quali Carboni coinvolge Comincioli cioè Berlusconi in numerose operazioni immobiliari. Pur non disdegnando altre località, l'ambito di manovra prevalente è la costa quasi vergine nel nord della Sardegna, tra Olbia e Porto Rotondo. Carboni, che è sardo, conosce il territorio dell'isola, e agisce secondo uno schema molto semplice: accaparrato un terreno agricolo, si attiva per mutarne la destinazione in terreno edificabile, decuplicandone il valore di mercato; dopodiché: o vende una porzione del terreno e utilizza il ricavato per stipulare il rogito e assicurarsi la proprietà definitiva del rimanente, oppure intesta i terreni a una società appositamente creata e ottiene il medesimo risultato cedendo parte delle quote societarie; in taluni casi, attua insieme l'una e l'altra combinazione.
"La prima operazione", preciserà Carboni, "la feci con Pompeo Locatelli, uno speculatore milanese al quale pagai 1 miliardo e 300 milioni di allora per dei terreni all'interno. Poi mi spostai sulla costa... Nella zona di Porto Rotondo. Poiché il paese era stato monopolizzato da un gruppo di operatori turistici, acquistai un lotto che restava fuori del comprensorio. Lo chiamai Costa delle Ginestre... Fu un affare colossale: 45 ettari per 150 milioni". Carboni acquista il lotto del "colossale affare" dalla famiglia del giornalista Jas Gawronski, e lo intesta alla società Costa delle Ginestre, dopodiché cede quote societarie a Romano Comincioli (cioè a Berlusconi).
Ma il faccendiere Carboni conduce una vita da nababbo, al disopra delle sue effettive possibilità, così è costretto a ricorrere agli usurai romani: "Io sapevo che non erano stinchi di santi ma mi servivano per avere denaro... Costa delle Ginestre è una società te avevo dato a Balducci e a altri usurai per i soliti interessi". In effetti, nella società Costa delle Ginestre sono associati: Flavio Carboni e suo fratello Andrea, soci di maggioranza; Romano Comincioli (cioè Berlusconì), socio di minoranza Domenico Balducci, socio di minoranza e Danilo Abbruciati , socio occulto. Questo assetto societario verrà confermato dal mandato di cattura spiccato il 29 gennaio 1983 dal giudice istruttore Imposimato a arico dei fratelli Carboni e di esponenti della cosiddetta "Banda della Magliana"

Seguendo le orme del prestanome di Berlusconi, troviamo Romano Comincioli coprotagonista di un colossale affare truffaldino, imbastito da Carboni e da Fiorenzo Ravello.
Ravello, classe 1925, cittadino italiano ormai residente in Svizzera (dove si fa chiamare Lay Florent Ravello), comincia come precettore presso illustri famiglie di Venezia, e in seguito diventa amministratore dei loro patrimoni immobiliari. Carboni lo conosce in circostanze singolari: acquistato a Porto Rotondo un appezzamento di proprietà del malavitoso Simplicio Dejana (condannato all'ergastolo per omicidio), Carboni scopre che il terreno era già stato venduto abusivamente da qualcuno che al rogito si era sostituito a Dejana facendolo figurare presente (mentre in realtà era in carcere), e che nel frattempo su quel terreno erano sorte varie costruzioni di Porto Rotondo; Carboni chiede spiegazioni alla società titolare dei nuovi insediamenti, amministrata da Ravello.
"I veri proprietari", racconterà Carboni, "si chiamavano Cmi, Gaggia, Pratolongo, e un famoso banchiere inglese... Ravello impallidi sentendo il motivo della mia visita. Parlammo tre ore. Alla fine mi propose un accordo". Nasce così tra i due un rapporto affaristico che nei fatti consentirà alla mafia di investire nell'edilizia fiumi di capitali sporchi. D'intesa con Carboni Ravello imbastisce in breve tempo un colossale marchingegno di ingegneria societaria.
Il 17 ottobre 1973, Ravello promuove la costituzione a Tempio Pausania (Sassari) della società Punta Volpe spa, alla quale intesta i beni che lui stesso amministra e rappresenta a Porto Rotondo e nel Comune di Olbia; subito dopo, la società Punta Volpe viene trasferita a Trieste, dove contemporaneamente vengono costituite altre dieci nuove società per azioni; nel capoluogo giuliano ha già sede la Immobiliare Sea spa, che prende parte attiva all'operazione. Il 12 dicembre dello stesso anno, la società Punta Volpe si fonde per incorporazione e singolarmente con ognuna delle undici spa; il senso dell'operazione è di suddividere i terreni in frazioni più commerciabili, che divengono così più snelle proprietà di singole società, il tutto in esenzione di oneri fiscali (da qui la scelta di Trieste, che ai tempi godeva di un regime fiscale privilegiato), e facendo ricadere ogni altro onere sulla società Punta Volpe, che così svuotata li elude e anzi viene cancellata dal registro delle società; ma il significato ultimo di tutta l'operazione è che in tal modo Carboni si assicura l'80 per cento (mentre a Ravello va tacitamente il 20 per cento) dei terreni e dei fabbricati delle undici spa. Dai dati catastali emerge che i soli terreni della defunta Punta Volpe sono di oltre 143 ettari; la cessione avviene al prezzo dì 2 miliardi 250 milioni dei quali l'80 per cento di Carboni ammonta a i miliardo e 800 milioni, pagamento dilazionato all'8 per cento di interesse annuo; il faccendiere versa una prima rata di 250 milioni, poi fa fronte alle altre scadenze cedendo a Ravello quote di sue società. Al 31 agosto 1974, secondo un promemoria contabile sequestrato dalla Guardia di Finanza, Carboni è in debito di circa 354 milioni, e ciò porta a una nuova ripartizione delle rispettive quote: i due convengono, sulla parola, che fino all'estinzione del debito, e a garanzia dello stesso Ravello è socio al 50 per cento delle società nelle quali è stato disperso il patrimonio della ex società Punta Volpe.
L'operazione, detta delle "12 sorelle", e definita "un patto a delinquere" nella sentenza 8 febbraio 1986 del Tribunale di Roma contro la malavita romana, interessa qui unicamente per la destinazione finale delle singole società e le relative proprietà immobiliari. Tre di esse transitano per la Generale commerciale di Comincioli e finiscono nella Fininvest di Berlusconi: sono le spa Poderada, Su Ratale, Su Pinnone. In altre due delle truffaldine società, Prato Verde e Immobiliare Sea, Comincioli-Berlusconi è presente direttamente, come sono presenti in ulteriori due, Monte Majore e Punta Lada ma attraverso la fiduciaria Sofint controllata al 50 per cento. In tre delle società subentrano interessi mafiosi e della malavita romana: Iscia Segada e Mediterranea vanno ai siciliani Luigi Faldetta e Lorenzo Di Gesù per conto di Pippo Calò (il "cassiere della mafia"), mentre Sa Tazza passa a Domenico Balducci. Circa qucst'ultima, la sentenza giudiziaria 8 febbraio 1986 appena ricordata evidenzia che Balducci con i terreni della stessa "costituì la cooperativa Delta, la quale, con il gioco della cessione successiva delle quote, sembra veramente avere avuto la funzione di stanza di compensazione delle azioni reciproche dei maggiori usurai romani". Della Delta immobiliare costruzioni sono infatti soci Spurio Oberdan, Aldo Proietti, Cesare Gemelli, Amedeo Mastracca, Pietro Cuccarini [padrc della soubrette Fininvest, Lorella, NdA], e Luciano Merluzzi, usurai, e uomini di Calò come Guido Cércola Luciano Mancini, Franco Di Agostino. Nel marzo 1978, la Delta figurerà tra i clienti "in sofferenza" del Banco Ambrosiano (l'esposizione è di 28 milioni, di cui 14 rubricati come "perdita certa").
Esclusa Punta Volpe, che abbiamo visto ridotta a un guscio vuoto e quindi soppressa, delle "12 sorelle" rimane Iscia Manna, la quale viene ceduta nel 1974 da Carboni al commercialista milanese (amico di Craxi) Pompeo Locatelli. Carboni è infatti in difficoltà: tra l'altro, ha rilevato il pacchetto di controllo di un giornale sardo, "Tuttoquotidiano", che in pochi mesi registra un passivo di circa 500 milioni.
Nel 1975 la situazione economica di Carboni, secondo Emilio Pellicani (segretario di Carboni), si fa "disperata", e se ne preoccupano anche i suoi partner. "Nell'estate a Porto Rotondo", dichiara Pellicani in un suo memoriale alla Procura di Trieste, "Ravello, Locatelli e Balducci avevano tentato un piano di salvataggio per Carboni. Il piano culminerà in un incontro che si terrà verso la fine di settembre all'Hotel Gritti di Venezia... L'incontro, a detta di Carboni, fu piuttosto burrascoso, perché le condizioni risultavano vessatorie e leonine". Fallito l'incontro di Venezia, Carboni è costretto a cercare altri finanziatori, e trovando in Comincioli grandi disponibilità, associa il prestanome di Berlusconi ai propri affari. Nel 1977, i rapporti tra i due divengono strettissimi, poiché Ravello si libera delle sue attività in Italia: infatti, nell'estate è scoppiato lo scandalo Italcasse-Caltagirone (nel quale Ravello è coinvolto quale membro del consiglio di amministrazione della società Flaminia nuova), e il losco affarista decide di ritirarsi definitivamente in Svizzera, liberandosi della propria parte del patrimonio sardo - per intenderci, quello delle "12 sorelle": l'acquirente è Comincioli, cioè Silvio Berlusconi.
Dopo lo scorporo della società Punta Volpe, negli ultimi mesi del 1975 le azioni delle undici società che si sono spartite i suoi beni erano state intestate fiduciariamente alla Sofint (Società finanziaria internazionale), che era dunque divenuta "la cassaforte" del sodalizio Ravello-Carboni. Con il subentro di Comincioli-Berlusconi, Ravello viene liquidato appunto con denaro Generale commerciale-Berlusconi (400 milioni in contanti, e i miliardo e 425 milioni in cambiali). Il contratto, firmato il 9 settembre 1977, cui segue il 4 novembre una convenzione di passaggio di azioni, trasferisce alla società amministrata dal prestanome di Berlusconi Romano Comincioli le spa Poderada (con 2 ettari di terreno a edificabilità di tipo intensivo per 23 mila mc), Su Ratale (a edificabilità intensiva per 99 mila mc), Prato Verde (con edificabilità intensiva per 58.500 mc), Su Pinnone (edifici già esistenti adibiti a uffici, e sede del Consorzio di Porto Rotondo).
Ma l'operazione non si chiude pacificamente. Ravello non ha infatti provveduto a regolare le pendenze fiscali delle società cedute, e ne nasce un pittoresco contenzioso giudiziario - in una "memoria" depositata al tribunale, il prestanome di Berlusconi definisce Ravello "finanziere fasullo" ed evasore con un piede sempre in qualche paradiso fiscale...
Anche tra Carboni e Comincioli-Berlusconi si apre una disputa che approda al Tribunale di Roma. Tra l'aprile e il maggio 1978, Carboni promuove ben sei cause civili contro Comincioli-Berlusconi, la Generale commerciale e la Sofint, sostenendo che nelle operazioni di subentro a Ravello, il berlusconiano Comincioli e la berlusconiana Generale commerciale hanno agito per conto dello stesso Carboni, cioè interponendosi come suoi prestanome avendone in cambio cospicui appezzamenti di terreni edificabili.
L'aspetto ulteriormente singolare di questa sintomatica lite tra un prestanome e un faccendiere in merito ai loro loschi affari, èche Carboni adendo il tribunale contro la Sofint adisce anche contro sé medesimo in quanto comproprietario effettivo della società... E altresì evidente che il contrasto tra i due non può farsi troppo cruento, fino a rischiare di svelare il groviglio di inconfessabili interessi che lega i due affaristi, come ad esempio un giro di cambiali tra la Sofint e le spa Finanziaria regionale veneta, Safiorano e Stella azzurra, società che la sentenza 8 febbraio 1986 del Tribunale di Roma attribuirà alla "famiglia di Joscf Ganci in questi giorni deceduto, imputato di traffico internazionale di stupefacenti e di appartenenza a Cosa Nostra".
Il 9 ottobre 1978 le parti comunicano al Tribunale la composizione della controversia, estinguendo le cause: è infatti intervenuta una risistemazione generale dei rapporti tra Carboni e Comincioli-Berlusconi. Berlusconi paga 3 miliardi e 500 milioni (detratto il miliardo e 825 milioni già versati nel 1977 in contanti e cambiali), e ottiene in cambio la definitiva proprietà delle società Su Ratale, Su Pinnone e Poderada (che troveremo per anni nella Fininvest); Comincioli-Berlusconi viene confermato socio di Carboni nella Prato Verde, che rimane intestata fiduciariamente alla Sofint (con altre società del faccendiere sardo), Sofint che Carboni e Comincioli-Berlusconi controllano paritariamente al 50 per cento.

La Prato Verde spa è per molti aspetti una società "a rischio". Il prestanome di Berlusconi, Comincioli, ne diviene amministratore unico il 30 novembre 1977, e in quella stessa data la sede sociale viene trasferita da Trieste a Milano, presso un commercialista del giro berlusconiano.
L'espediente del "prestanome-paravento" Comincioli si rivela quantomai opportuno per Berlusconi di lì a poco, quando cioè comincia ad avere quali soci nella Prato Verde anche personaggi decisamente pericolosi. Uno di essi è Fausto Annibaldi, già noto alle cronache giudiziarie e nel gruppo di finanziatori-usurai di Carboni; interrogato il 17 luglio 1982 dal procuratore di Perugia Domenico Tontoli Montalto, Annibaldi confermerà: "Sono stato socio della Prato Verde per il 5 per cento [come, sempre per il 5 per cento, lo sono stati Francesco Santi, Bernardino e Italo Drago, nonché tale prof. Valentini, reumatologo, tutti residenti a Roma] dal luglio 1980 all'agosto-settembre 1981" (la gestione Comincioli della Prato Verde è 30 novembre 1977-2 maggio 1981); tra l'altro, nella sentenza 8 febbraio 1986 la compartecipazione di Annibaldi nella Prato Verde verrà definita "penalmente rilevante".
Durante la gestione Comincioli-Berlusconi della Prato Verde, e cioè nel febbraio-marzo 1978, Carboni entra in affari con esponenti di 'Cosa Nostra". Tramite i nialavitosi Balducci e Diotallevi, Carboni concorda con un gruppo di mafiosi l’esecuzione di lavori di risanamento nel centro storico di Siracusa, e ottiene un anticipo di 450 milioni; ma l'iniziativa sfurna per J'opposizione della Regio ne Sicilia, e a quel punto i committenti siciliani (Luigi Faldetta, Lorenzo Di Gesù, Gaetano Sansone, Antonio Rotolo, e un certo "Mario" che si scoprirà essere il 'cassiere della mafia" Pippo Calò) pretendono la restituzione dei 450 milioni anticipati, e 250 milioni di interessi. Carboni salda il debito attraverso cambiali per 700 milioni emesse dalla società Elbis di Milano in favore di Romano Comincioli e da questi "girate". Nella Elbis srI (società costituita il 12 novembre 1969 dal messinese Antonino Franciò e da alcuni prestanome di Berlusconi) Carboni è entrato da poco apportando 138 milioni, e dunque BerlusconiComincioli non possono rifiutare "un favore" al consocio...
Il pieno e diretto coinvolgimento di Romano Comincioli, e dunque di Berlusconi, nelle iniziative di Flavio Carboni è tutt'altro che episodico. Insieme, il prestanome di Berlusconi e il faccendiere sardo combinano affari con Ravelio, con Calò, e con altri mafiosi (Sardegna, Siracusa) e anche con un altro protagonista delle cronache giudiziarie, Francesco Pazienza (Prato Verde). Lo spregiudicato faccendiere sardo offre al rappresentante di Berlusconi gioielli ricettati, e il rappresentante di Berlusconi firma assegni destinati a malavitosi, e intrattiene dunque rapporti con la malavita romana. Se la famigerata Banda della Magliana può "lavare" i proventi della droga, delle rapine e dei sequestri di persona, riciclandolì nell'acquisto di terreni, società, costruzioni, cio e anche grazie alle "attività" di Flavio Carboni, alle quali il berlusconiano Comincioli fornisce un decisivo contributo.
Le cambiali sottoscritte dalla Elbis con la "girata" del prestanome dì Berlusconi, Comincioli. vengono consegnate nelle mani di Diotallevi, il quale prowede a recapitarle a Pippo Calò. Costretto poi a una lunga latitanza, Diotallevi verrà catturato a Roma alla fine del 1988.Con la rinuncia "per motivi personali", nel maggio l981, alla carica di amministratore, il prestanonie di Berlusconi, Comincioli, non esce dalla Prato Verde' vi rimane infatti quale socio, e ne mantiene il controllo col suo 50 per cento della Sofint alla quale la Prato Verde fa capo fiduciariamente. Anzi, Comincioli-Berlusconi consente alla Prato Verde di accedere al credito bancario fornendo garanzie e effetti cambiari della Generale commerciale.
A memoria di Pellicani, il plunprotestato e chiacchieratissimo Carboni non era mai riuscito a ottenere fidi bancari: vi riesce per la prima volta nel 1980 grazie a Berlusconi, quando la Banca del Cimino accorda alla Prato Verde uno scoperto di conto corrente fino a 200 milioni; la linea di credito viene riconfermata nel 1981, quando anche il Banco di Santo Spirito accetta di scontare alla Prato Verde effetti rilasciati da Comincioli e da società del gruppo Berlusconi. Ascoltato il 24 febbraio 1983 dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, Pellicani conferma queste operazioni e ne chiarisce meglio la meccanica: "Carboni ottiene i finanziamenti attraverso effetti di società di Comincioli. E uno sconto che ottiene perché, d'accordo con Comincioli stipula dei contratti fasulli nei quali dice di vendere una parte di azioni...". (Carboni, nel settembre 1986 rimedierà l'ennesima condanna per emissione di assegni a vuoto per 775 milioni - nove mesi di carcere).
Nel novembre di quello stesso 1981, la società Prato Verde ottiene finanziamenti ben più cospicui dal piduista Banco Ambrosiano grazie all'interessamento di Francesco Pazienza. Già in estate, Pazienza aveva propiziato un incontro tra il presidente del-l'Ambrosiano Roberto Calvi e Carboni durante una gita in barca lungo le coste sarde, e aveva poi indotto Carboni a chiedere un mutuo garantendogli un esito positivo: il presidente dell'Ambrosiano - gli aveva spiegato - ha necessità di denaro ma non vuole attingere personalmente al suo istituto, bensì attraverso terzi. In effetti, Calvi caldeggia l'operazione di mutuo a favore della Prato Verde; chi invece la osteggia è il suo vice, Roberto Rosone, il quale la ritiene un'operazione rischiosa e anomala - proprio per questa sua intransigenza, Rosone subirà un attentato: "Negai un fido e mi spararono", dirà poi al processo contro Carboni e Diotallevi (condannati a 10 anni di reclusione quali mandanti del killer Abbruciati che nell'attentato ferisce Rosone ma viene ucciso da una guardia giurata).Fatto è che, per ordine di Calvi, il 19 novembre 1981 la sede Fomana del Banco Ambrosiano dispone l'erogazione alla Prato Verde di un primo acconto di 600 milioni, e in più riprese successive il finanziamento arriva a complessivi 6,6 miliardi. Ditale somma, i miliardo e 200 milioni sarebbero finiti a Calvi, 136 vanno a Pazienza per la mediazione, i miliardo e 500 milioni a Fausto Annibaldi quale rimborso prestiti, e il resto si disperde in mille rivoli. Pazienza, Annibaldi, Carboni e altri saranno rinviati a giudizio per concorso in bancarotta fraudolenta aggravata del Banco Ambrosiano.
Il finanziamento del Banco Ambrosiano alla Prato Verde è stato garantito dalla Sofint e da tutta una serie di società che a essa fanno capo; ciò presuppone dunque esservi stato l'assenso del prestanome di Berlusconi, Comincioli. Ma la stessa situazione economica della Sofint è difficile - Piero Citti, dipendente della società, il 7 dicembre 1982 dichiarerà al giudice istruttore Drigani del Tribunale di Trieste: "La Sofint versava in cattive acque... fra l'altro non si erano presentati i bilanci per mancanza di liquidità. Si paventava la messa in liquidazione". E tuttavia, il sodalizio tra Carboni e Berlusconi prosegue. Comincioli e Maria Luisa Bosco (della Generale commerciale) telefonano più volte al giorno presso la sede romana della Sofint, dove pervengono anche chiamate di Fedele Confalonieri (numero due della Fininvest), inentre hanno luogo summit societari tra Carboni e i prestanome di Berlusconi, e incontri in Sardegna.
Tutto precipita il 12 giugno 1982, quando Carboni si dilegua per accompagnare il banchiere piduista Roberto Calvi verso il suo tragico destino, dopo avergli procurato un passaporto falso tramite Diotallevi: sei giorni dopo, il presidente dell'Ambrosiano viene ritrovato a Londra, impiccato sotto il ponte dei Frati neri. Quarantatré giorni dopo il rinvenimento del cadavere del banchiere a Londra, il 30 luglio 1982 Carboni viene arrestato a Lugano, e quindi estradato in Italia.
Quando Carboni e il suo braccio destro Emilio Pellicani verranno arrestati, si avrà l'irreversibile crisi della Prato Verde e della Sofint. Il 9 maggio 1984, il giudice Ragonesi (della sezione fallimentare del Tribunale di Roma) dichiara il fallimento della Prato Verde, mentre il ministero deil'Industna, il 7 luglio l986, revocherà alla Sofìnt l'autorizzazione a esercitare l’attività fiduciaria, e il 6 febbraio 1987 ne decreterà la messa in liquidazione coatta amministrativa.

Si arriva così alla sentenza più voite citata dopo un processo presso il Tribunale di Roma con imputati, tra gli altri, Ernesto Diotallevi, Flavio Carboni, Giuseppe Calò, Danilo Sbarra, Lorenzo Di Gesù, accusati di avere investito in società varie e in beni immobiliari denaro e valori provenienti da rapine, estorsioni, sequestri di persona. A causa dei limiti posti dalle autorità svizzere nell'accordare l'estradizione (di questa comoda "scappatoia" si avvarrà anche il Venerabile maestro Licio Gelli), Carboni non ha potuto essere processato per associazione a delinquere; risponde soltanto di concorso nell'attentato a Rosone, e anche, con Fausto Annibaldi e Romano Comincioli della ricettazione di un brillante rubato del valore dii miliardo di lire. L'8 febbraio 1986 la sentenza: Calò 6 anni dì reclusione, Diotallevi 5, Di Gesù 1 anno e 6 mesi, Sbarra 3 anni e 6 mesi. Carboni e Comincioli vengono assolti. L'attentato a Rosone viene stralciato, e Carboni viene rinviato a giudizio in un diverso processo. In secondo grado, l'11 marzo 1987 la Corte d'Appello di Roma confermerà la pena a Diotallevi e Di Gesù (Calò non si era appellato).
Nel frattempo (il 25 luglio 1983), il prestanome di Berlusconi, Romano Comincioli, pone in liquidazione la Generale commerciale. Nei suoi confronti pendono un processo penale a Roma (quello sopra menzionato) e un procedimento istruttorio a Milano: è dunque opportuno non richiamare l'attenzione anche sulla Generale commerciale, ed è necessano farla uscire tempestivamente di scena.
Il procedimento che coinvolge Comincioli, aperto presso il Tribunale di Milano, concerne il fallimento del Banco Ambrosiano, e vede imputati, tra gli altri, i vertici della Loggia P2 Licio Gelli e Umberto Ortolani, e Francesco Pazienza, Flavio Carboni, Fausto Annibaldi, Gennaro Cassella, e insomma tutti coloro che in vario modo hanno concorso alla bancarotta fraudolenta aggravata dell'istituto di credito presieduto da Roberto Calvi. Carboni, Pazienza e Annibaldi vi sono coinvolti per i 6,6 miliardi erogati alla Prato Verde e finiti in parte nelle loro tasche - ma nella Prato Verde vi erano anche interessi della Generale commerciale e dei suoi amministratori berlusconiani Romano Comincioli e Maria Luisa Bosco: da indiscrezioni trapelate durante la lunga fase istruttoria (durata 6 anni), sembrava che vi fossero implicati anch'essi, ma nell'ordinanza di rinvio a giudizio firmata dai giudici istruttori Antonio Pizzi e Renato Bricchetti i due prestanome di Berlusconi non figureranno tra gli imputati.
Non vi è dubbio che una delle chiavi di lettura del fallimento del Banco Ambrosiano si trovi nella società Prato Verde. I fascicoli e le carte della società, sequestrati già nel 1982 dagli inquircilti romani, sono trasmigrati da un giudice all'altro, da un ufficio al l'altro, e ora giacciono presso la sezione istruzione del Tribunale di Milano. Dell'operato di una società non ripondono i soci bensì solo gli amministratori: al momento del crack, amministratorc unico della Prato Verde e della Sofint è il prestanome Gennaro Cassella (che infatti, nel l992 verrà condannato dal Tribunale di Milano a 5 anni di reclusione).
Il sostituto procuratore di Milano Pier Luigi Dell'Osso, che si occupa della Prato Verde e del ruolo di Carboni rispetto al Banco Ambrosiano, il 27 agosto 1982 interroga Silvio Berlusconi. Per l'occasione, la Fininvest diffonde un comunicato nel quale si afferma che "nessun rapporto societario intercorre tra le società del gruppo e il signor Flavio Carboni. Il signor Carboni ha svolto invece una propria autonoma attività di intermediazione come fiduciario di proprietari di terreni interessanti un progetto edilizio del Comune di Olbia attualmente all'esame di una società del gruppo" - una "smentita" così impudente e sibillina da non smentire nulla...

TRATTO DA www.mondodisotto.it/berluska/6unpattoadelinquere.htm